
Il crepuscolo stendeva ombre lunghe sui vicoli di Raviscanina quando, alle 19:57, un improvviso tremito ha interrotto il silenzio. Un boato sommesso ha accompagnato il lieve dondolio dei lampioni e il tintinnio dei bicchieri nei bar ancora affollati. I rilevatori dell’INGV hanno misurato una magnitudo di 2.6 con epicentro a soli tre chilometri a sud-ovest del borgo. Qualcuno, impaurito, ha cercato conforto in una telefonata, altri si sono affacciati alle finestre, in attesa che la terra smettesse di scuotersi.
Più tardi, in una mattina appena ordinarie, la terra aveva già parlato. Poco dopo l’alba, i sismografi avevano annunciato una scossa di magnitudo 2.1 nel tratto compreso tra Baia e Latina: un promemoria che, anche nelle ore più tranquille, il sottosuolo italiano rimane vivo e indomito.
Ricordi di terremoti che hanno cambiato il Paese
Non sono passati molti anni dal 6 aprile 2009, quando la terra si spezzò sotto L’Aquila: una magnitudo 6.3 che rase al suolo interi quartieri medievali e trasformò il cuore dell’Abruzzo in un teatro di soccorsi e ricostruzione. Le strade, prima gremite di turisti, si riempirono di tende e mezzi dell’esercito, mentre il Paese si stringeva attorno ai sopravvissuti.
Pochi anni dopo, nel maggio 2012, fu l’Emilia-Romagna a subire un doloroso risveglio: una serie di scosse fino a 5.9 di magnitudo che colpirono le province di Ferrara, Modena e Bologna, distruggendo aziende agricole storiche e preziosi capolavori del Rinascimento emiliano. Anche in quella terra di lavoro e bellezza, la solidarietà degli italiani rispose con chilometri di filo spinato e cataste di mattoni, pronte a ricostruire le feste patronali e le case di un’intera generazione.
Infine, nel cuore del 2016, il centro Italia tremò ancora: Amatrice, Accumoli e Norcia pagarono il prezzo più alto a scosse di magnitudo superiore a 6.0. Quel sisma di agosto non risparmiò alcuna pietra, cancellando botteghe e strade e trasformando i Monti Sibillini in un deserto di macerie. Eppure, come sempre, furono proprio quei territori martoriati a insegnarci la forza della rinascita, quando mani estranee portarono brande e pacchi viveri, facendo dell’Italia un’unica grande comunità in piedi tra le crepe della terra.