
Un’offensiva su vasta scala, annunciata e pianificata da tempo, è ora in pieno corso nella Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha dato avvio all’operazione denominata Carri di Gedeone, un nome che evoca guerre bibliche e che segna la drammatica espansione della campagna militare nel territorio palestinese. Da ore, le truppe di terra vengono mobilitate per prendere il controllo diretto di aree ritenute strategiche. L’obiettivo dichiarato è duplice: liberare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e portare alla sconfitta militare dell’organizzazione islamista.
Una mossa per forzare il negoziato
A lanciare l’allarme sull’imminenza dell’invasione è stato Channel 12, che ha citato fonti della sicurezza: “i bombardamenti in corso rappresentano l’ultimo avvertimento per Hamas”, un’ultima possibilità — secondo Israele — per raggiungere un’intesa e fermare l’offensiva. Ma mentre i raid aerei proseguono intensamente, il bilancio delle vittime civili palestinesi cresce in modo drammatico: almeno 115 morti solo nelle ultime 24 ore, secondo quanto riferisce Al Jazeera, che parla anche di 370 uccisi da domenica.
L’operazione, già approvata dal gabinetto politico-militare israeliano a inizio maggio, è stata concepita in linea con le indicazioni del capo di Stato maggiore. Il suo nome — Carri di Gedeone — richiama la battaglia di un leader biblico che, con pochi uomini, vinse contro un esercito numeroso. Ma a Gaza, la sproporzione di forze è evidente.
Trump rompe il silenzio: “Molte persone stanno morendo di fame”
Le pressioni internazionali per fermare le ostilità si sono finora infrante contro il muro della fermezza israeliana. Neppure Donald Trump, da sempre alleato dello Stato ebraico, ha potuto ignorare la catastrofe umanitaria in corso. Durante una tappa del suo tour nel Golfo, da Abu Dhabi ha ammesso: “Molte persone stanno morendo di fame”, promettendo che “ci occuperemo di questo”. Parole che giungono in un contesto in cui gli aiuti umanitari sono bloccati da settimane, e nella Striscia mancano ormai cibo, acqua, carburante e medicinali.

L’Alto Commissario ONU per i diritti umani, Volker Turk, ha parlato di una situazione che rischia di diventare “una pulizia etnica”, definendo la strategia di Israele una spinta verso un cambiamento demografico permanente a Gaza. Intanto, il bilancio delle vittime — secondo il ministero della Salute di Hamas — ha superato i 53mila morti dall’inizio della guerra, con quasi 3mila solo dalla rottura della tregua a marzo.
Il caso Edan Alexander e la richiesta a Trump
Nel frattempo, Hamas ha liberato Edan Alexander, ostaggio con cittadinanza statunitense, in seguito a un dialogo diretto con Washington. Ora, però, i miliziani pretendono che Trump rispetti la sua parte dell’accordo, facendo pressioni su Israele affinché riapra i valichi e consenta l’arrivo degli aiuti. “Ci aspettiamo un intervento immediato”, ha dichiarato Taher al-Nunu, alto funzionario del gruppo palestinese, all’agenzia AFP.
Raid anche in Yemen, l’allerta si estende
L’altra linea del fronte è nello Yemen. Dopo l’attacco missilistico degli Houthi, che giovedì ha fatto scattare l’allarme antiaereo a Tel Aviv, Israele ha risposto con raid aerei su Hodeida e Salif, accusando i ribelli di utilizzare i porti per operazioni terroristiche. Il premier Netanyahu ha annunciato che “non ci fermeremo” finché “tutte le infrastrutture degli Houthi” non saranno distrutte.
Il piano segreto per Gaza: un milione di palestinesi in Libia
Infine, una rivelazione clamorosa agita ulteriormente lo scenario: secondo la NBC News, l’amministrazione Trump starebbe valutando il trasferimento permanente di fino a un milione di palestinesi in Libia. Il piano sarebbe già in fase avanzata, con contatti avviati con le autorità libiche. Se confermata, si tratterebbe di una svolta geopolitica senza precedenti, e di una possibile ridefinizione demografica dell’intera regione, con implicazioni enormi sul diritto internazionale.
L’impressione è che ogni freno sia stato tolto. E che la guerra, nella sua fase più cupa, sia appena cominciata.