
È successo all’alba, lungo una strada ordinaria della regione di Sumy, nel nord dell’Ucraina. Un minibus civile è stato centrato da un drone kamikaze russo mentre trasportava persone verso la città. Nove passeggeri sono rimasti uccisi sul colpo, altri quattro sono stati feriti gravemente. Le immagini diffuse dalle autorità locali mostrano lamiere contorte, zaini sparsi sull’asfalto, sangue.
L’amministrazione militare ucraina parla di un attacco “cinico” e rivendica il diritto di chiamare le cose con il loro nome: terrorismo. Ma al di là dell’orrore immediato, ciò che inquieta è il tempismo.

Le trattative di Istanbul e l’ombra del doppio gioco
Proprio mentre le delegazioni di Russia e Ucraina si siedono a un tavolo a Istanbul per riaprire il canale diplomatico interrotto da oltre due anni, Mosca colpisce un autobus di civili. Una coincidenza troppo perfetta per non sembrare voluta, troppo crudele per non sembrare calcolata. Il messaggio è chiaro: si può trattare, ma solo alle condizioni del Cremlino.
In Turchia si discute di scambi di prigionieri, di tregue parziali, di corridoi umanitari. Ma intanto sul campo le bombe non si fermano. Anzi, colpiscono nel momento in cui la diplomazia viene invocata. È un classico schema di pressione: si offre il dialogo mentre si mostra il pugno. Si simula apertura per guadagnare tempo, dividere gli alleati, far passare per pace quella che è solo una pausa armata.
Guerra ibrida e dissimulazione
Quello che accade a Sumy non è un errore, né una perdita di controllo. È strategia militare integrata nel contesto della guerra ibrida: l’uso di strumenti convenzionali, psicologici, e diplomatici fusi in un’unica offensiva. Mentre l’Occidente spera in un allentamento del conflitto, la Russia continua a colpire infrastrutture, scuole, ospedali, mezzi pubblici. Ogni attacco è anche un messaggio politico: nessuno è al sicuro, neanche chi non combatte.
Nel momento in cui la Russia si presenta ai tavoli della trattativa come attore responsabile, si adopera sul campo per minare ogni residua fiducia nel processo. Per Kiev, questo significa dover difendere la propria popolazione mentre si viene accusati, paradossalmente, di sabotare il dialogo.
La diplomazia sotto ricatto
È il rischio ricorrente di ogni negoziato in tempo di guerra: sedersi al tavolo con chi continua a sparare. Ogni passo verso la pace può diventare una trappola se non è accompagnato da garanzie concrete, verificabili. A Istanbul non si è ancora parlato di cessate il fuoco, né di ritiro delle truppe: si parla di scambi, gesti, segni. Ma intanto la guerra vera continua. E oggi ha fatto altre nove vittime innocenti.
Sumy è il promemoria più crudele: ogni parola pronunciata nei palazzi del dialogo deve confrontarsi con il suono secco di un drone che arriva all’improvviso, e non lascia scampo.