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Andrea Sempio e Alberto Stasi, martedì il faccia a faccia. I legali: “Affiliamo le armi”

Pubblicato: 18/05/2025 17:55

Sarà un incontro decisivo quello che vedrà Andrea Sempio e Alberto Stasi faccia a faccia per la prima volta. L’appuntamento è fissato per martedì prossimo alle 14 presso la Procura di Pavia, dove entrambi sono stati convocati dagli inquirenti nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007. In parallelo, il fratello della vittima, Marco Poggi, sarà a Venezia per un altro confronto giudiziario, segnando una giornata importante su più fronti per una vicenda giudiziaria che continua a far discutere a distanza di anni dai fatti.

La nuova inchiesta e la posizione di Sempio

Andrea Sempio, 37 anni, è indagato per omicidio in concorso nell’ambito di un’indagine che riapre il caso Poggi con nuovi elementi. Massimo Lovati, suo legale, ha spiegato che la difesa sta studiando attentamente ogni dettaglio in vista dell’interrogatorio, definendolo un passaggio fondamentale per decidere eventuali richieste di rinvio a giudizio. «Stiamo affilando le armi che il codice di procedura penale ci mette a disposizione», ha dichiarato l’avvocato, sottolineando l’importanza di affrontare con rigore le accuse contro il suo assistito. Il confronto si terrà davanti al procuratore aggiunto Stefano Civardi, che guida l’inchiesta della Procura di Pavia.

Il nuovo sviluppo del caso arriva in un contesto già segnato da una condanna definitiva a 16 anni di reclusione per Alberto Stasi, ritenuto colpevole dell’omicidio. Tuttavia, la riapertura dell’indagine e il coinvolgimento di Sempio stanno generando polemiche e divisioni tra le parti, con posizioni nettamente contrastanti sulle dinamiche del delitto.

La posizione dei Poggi: una verità che va difesa

Sul fronte opposto, Gian Luigi Tizzoni, avvocato della famiglia Poggi, ha espresso dubbi sulla direzione intrapresa dalla nuova inchiesta. «Lo Stato ha consegnato la verità ai Poggi, ma oggi non la difende», ha affermato Tizzoni in un’intervista, ribadendo la solidità delle prove che hanno portato alla condanna di Stasi. Secondo il legale, gli elementi raccolti nelle fasi precedenti, come il dna sotto le unghie della vittima e l’impronta delle scarpe, confermano senza ambiguità che l’omicidio è stato commesso da una sola persona.

Tizzoni ha poi criticato il ritrovamento di oggetti nel canale di Tromello, definendo dubbia l’attendibilità di eventuali prove ricavate dopo anni di esposizione all’acqua. Anche l’arma del delitto, mai identificata con certezza, resta un elemento problematico, ma per il legale non cambia la sostanza dei fatti. «L’arma usata – ha spiegato – non era un attizzatoio ma qualcosa di abbastanza corto, compatibile con le dinamiche ricostruite dai periti». La convinzione è che nulla, nei nuovi sviluppi, possa minare la validità delle conclusioni raggiunte in tribunale.

La difesa di Sempio e i punti controversi

La difesa di Andrea Sempio respinge con fermezza qualsiasi coinvolgimento del suo assistito nel delitto. «Non esistono elementi oggettivi che possano collocare Sempio sulla scena del crimine», ha affermato l’avvocato Lovati, sottolineando che il suo cliente porta una taglia 44 di scarpe, diversa da quella attribuita all’assassino, e non possiede una bicicletta nera, altro dettaglio emerso durante le indagini. Inoltre, non è stato trovato alcun dna riconducibile alla vittima nei suoi oggetti personali, e l’intero impianto accusatorio viene definito privo di fondamento.

Secondo la difesa, chiunque voglia mettere in dubbio gli elementi che hanno portato alla condanna di Stasi dovrà confrontarsi con una serie di perizie e consulenze tecniche che confermano le responsabilità già accertate. Il caso si complica ulteriormente in un clima già segnato da revisioni, archiviazioni e ricorsi, alimentando un dibattito acceso tra gli avvocati delle parti coinvolte.

Un processo senza pace

Dopo anni di udienze, revisioni e indagini, la famiglia Poggi si trova nuovamente a fronteggiare un percorso giudiziario che sembra riaprire ferite mai rimarginate. «Hanno cercato la verità per sette anni, affrontando il dolore di ogni perizia e partecipando a tutte le udienze», ha dichiarato Tizzoni, aggiungendo che la famiglia si sente oggi isolata e poco tutelata. «Lo Stato ha consegnato loro una verità giudiziaria, ma ora sembra metterla in discussione».

Quella che era stata considerata una conclusione definitiva appare oggi sempre più incerta, lasciando spazio a nuove polemiche e interrogativi su uno dei casi di cronaca nera più discussi degli ultimi decenni.

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