
“La martoriata Ucraina attende una pace giusta e duratura.” Con queste parole, pronunciate durante il Regina Coeli, Papa Leone XIV ha aperto uno spazio diplomatico completamente nuovo rispetto alla postura assunta in passato dalla Santa Sede sul conflitto in corso. Oggi, a meno di 24 ore dalla sua intronizzazione, riceverà in udienza il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: un gesto che vale più di mille dichiarazioni, e che rischia di ridefinire gli equilibri tra il Vaticano, l’Europa e il fronte orientale della guerra.
Il primo segnale di un nuovo corso vaticano
Francesco aveva scelto una linea di equidistanza, spesso criticata. Nei suoi discorsi pubblici, l’ex Pontefice non aveva mai omesso di citare le sofferenze ucraine, ma era stato altrettanto cauto nel non sbilanciarsi apertamente contro la Russia. Mai una parola netta di condanna per Putin, mai una visita ufficiale di Zelensky in Vaticano nelle fasi più delicate del conflitto. La diplomazia vaticana aveva preferito una neutralità attiva, affidando il peso delle trattative al cardinale Zuppi e mantenendo, almeno formalmente, un canale aperto con Mosca.
Con Leone XIV cambia tutto. L’udienza a Zelensky arriva prestissimo — forse troppo, secondo alcuni osservatori — e non è solo un gesto simbolico, ma una dichiarazione d’intenti. Si tratta di un atto pubblico, visibile, irrinunciabile: il Papa apre il palazzo apostolico al presidente di un Paese in guerra e lo fa sapendo che il messaggio arriverà forte a tutte le cancellerie del mondo.
Leone XIV si muove nel vuoto lasciato da altri
Questa udienza non è solo una questione di protocollo. È un atto politico. In un tempo in cui l’Unione Europea fatica a trovare una voce unica, in cui gli Stati Uniti sono entrati in un ciclo elettorale dominato da calcoli interni e in cui la diplomazia multilaterale sembra paralizzata, Leone XIV si inserisce come figura moralmente autorevole e meno ambigua nel sostenere la causa ucraina.
E non si tratta solo di dichiarazioni. Ricevere Zelensky, e farlo nel giorno in cui ancora risuonano gli applausi della messa d’intronizzazione, significa scegliere da che parte stare. Non in senso militare, ma in senso spirituale, etico, storico. È la riaffermazione del principio che non tutte le guerre si equivalgono, e che la difesa di un popolo invaso non è equiparabile a chi ha violato le regole della convivenza internazionale.
Una Santa Sede meno neutrale, più europea?
La frase chiave del Regina Coeli è chiara: “pace giusta e duratura”. In questo ordine. Non una pace a qualsiasi prezzo. Non un cessate il fuoco che congela il conflitto. Ma una pace fondata su criteri di equità e stabilità. È un vocabolario che, nel contesto vaticano, ricorda più la dottrina sociale della Chiesa applicata ai diritti dei popoli, che non l’equidistanza pacifista espressa negli ultimi anni. E non è un caso che Leone XIV abbia ripreso l’aggettivo “martoriata”, uno dei pochi elementi di continuità con il predecessore. Ma lo ha fatto con un tono più netto, inserendolo in una cornice meno sospesa e più assertiva.
Leone XIV sembra suggerire che anche la pace può — e forse deve — avere un vincitore morale. Non per alimentare l’odio o per negare il perdono, ma per dare un nome al torto subito e costruire un futuro che non sia fondato sull’ambiguità.
La partita è aperta. Ma l’udienza di oggi ha già segnato un punto di svolta. E la sensazione è che il nuovo Papa non voglia più accontentarsi di pregare per la pace: vuole indicare anche dove cercarla.