C’è un momento, tra le 9 e le 9.13 del mattino, in cui la luce si fa più netta e le ombre si accorciano. Un momento in cui Napoli si risveglia del tutto, con il profumo del caffè che si mescola al rumore del traffico e alla voce delle edicole. È allora che qualcosa cambia. Non lo si percepisce subito, ma lo si sente con il corpo: una vibrazione, un battito profondo che attraversa il pavimento e risale dritto fino allo stomaco. Qualcuno si ferma. Qualcuno si guarda attorno. Altri continuano come se nulla fosse. Ma il boato rimane nell’aria, come un’eco trattenuta tra le case della Solfatara.
Poco prima, alle 7.27, era già successo qualcosa. Più lieve, appena percepibile. Ma sufficiente a turbare il sonno leggero di chi abita nella zona occidentale della città. La gente si affaccia, chiede, cerca di capire. Poi torna dentro. Si riprende il controllo della giornata. Fino a quando arriva la seconda scossa, magnitudo 2.0, che scuote i Campi Flegrei e si fa sentire con chiarezza tra Pozzuoli e i quartieri collinari.

L’epicentro nella Solfatara, scatta l’allerta
Alle 9.13 il sismografo registra tutto: due chilometri di profondità, epicentro nell’area già più temuta, quella della Solfatara. Il fenomeno, comunicano le autorità, potrebbe essere stato accompagnato da un boato, avvertito distintamente dagli abitanti più vicini. Il Comune di Pozzuoli pubblica subito un avviso: “L’evento sismico potrebbe aver generato un suono cupo. Chiunque abbia bisogno può contattare i numeri della Polizia Municipale e della Protezione Civile”.
Il sindaco, Gigi Manzoni, rassicura la popolazione ma invita alla prudenza. Sono ore di monitoraggio, ore in cui le finestre restano socchiuse e si abbassano i toni delle conversazioni.
Una terra che respira sotto i piedi
Nei Campi Flegrei, ogni scossa ha il sapore antico della minaccia e della memoria. Non è la forza del sisma in sé a fare paura, ma la continuità, la sensazione che qualcosa si stia accumulando, preparando. “Lì sotto si muove sempre qualcosa”, dicono gli anziani, con lo sguardo rivolto alla collina fumante. E chi abita da anni sopra questo vulcano attivo, lo sa: è come vivere su una bestia che dorme male. E ogni tanto si gira nel sonno.
Nessun danno, per ora. Nessuna emergenza. Ma tra chi vive nella zona resta quell’inquietudine sottile, fatta di crepe sui muri che si allungano di qualche millimetro, di bicchieri che tintinnano da soli, di una memoria che torna, ogni volta, a ricordare che Napoli – anche nei suoi silenzi – non dimentica mai dove poggia i piedi.