
Il calcio italiano perde un altro pezzo di storia. Si è spento a 87 anni uno degli ultimi protagonisti di un’epoca gloriosa, simbolo di determinazione e spirito di squadra. Un uomo che ha legato indissolubilmente il suo nome a una delle più grandi imprese sportive del nostro campionato.
Era noto con un soprannome che evocava un luogo e una partita entrati nella leggenda. Una figura discreta, ma capace di lasciare il segno nei momenti decisivi. Il suo addio arriva a pochi giorni da una nuova impresa compiuta nello stesso stadio che lo rese immortale.

Si tratta di Bruno Capra, storico difensore del Bologna, conosciuto dai tifosi come “L’uomo dell’Olimpico”. Fu uno dei protagonisti assoluti dello scudetto del 1964, il settimo e ultimo della storia rossoblù. Capra ha vestito la maglia del Bologna in 178 partite ufficiali tra campionato e coppe, dal 1955 al 1965, mettendo a segno due gol.
La sua firma più celebre rimane quella messa nello spareggio scudetto del 7 giugno 1964, vinto contro l’Inter all’Olimpico di Roma. Una partita entrata nella storia anche per la sorprendente scelta tattica dell’allenatore Fulvio Bernardini, che lo schierò a sorpresa come tornante sinistro con la maglia numero 11. Una mossa che spiazzò il tecnico nerazzurro Helenio Herrera e contribuì in modo decisivo alla vittoria rossoblù.
Nato a Bolzano, Capra ha legato gran parte della sua carriera al Bologna, ma ha concluso la sua esperienza da calciatore con la maglia del Foggia. Uomo silenzioso ma amato, è sempre stato ricordato per la sua dedizione, il rigore tattico e l’intelligenza in campo.
Il Bologna FC 1909 lo ha ricordato con parole cariche di affetto e riconoscenza: “Mise la sua autorevole firma nello spareggio che valse il nostro settimo scudetto… una delle chiavi dello storico successo. Tutto il Bologna ricorda con commozione Bruno, uno dei suoi eroi del ’64”.
A poche ore dalla gioia per il ritorno in Europa con la vittoria in Coppa Italia, la città e il club rendono omaggio a una delle sue leggende, salendo simbolicamente le scale dell’Olimpico per salutare, un’ultima volta, l’uomo che ne fece la sua casa.