
«Mia figlia su quella barca doveva solo fare la traduttrice, non il marinaio». A parlare con Repubblica è Umberto Chiti, padre di Anna, la ragazza di appena 17 anni deceduta tragicamente durante una manovra nautica. Il dolore scava ogni parola di un uomo che ha cresciuto le figlie con la passione per il mare, ma che ora si ritrova a cercare risposte su una tragedia che, secondo lui, poteva e doveva essere evitata.
Leggi anche: Italia. Morte atroce a 17 anni, per Anna era il primo giorno di lavoro
Anna non era una sconosciuta del mare. Era stata proprio lui, il padre, a insegnarle tutto: «Le ho trasmesso tutto, anche e soprattutto a calcolare i rischi e i pericoli». Eppure, quella manovra d’ormeggio che l’ha portata via «non doveva farla lei da sola». Umberto si chiede, con voce ferma ma rotta dall’emozione, come sia possibile che una minorenne sia stata messa in una situazione così rischiosa: su una barca di 10-12 metri, senza salvagente, senza personale esperto a supporto.

Una scelta mai condivisa
Scopre solo a tragedia avvenuta che la figlia aveva accettato un incarico su quella barca: «L’ho saputo sabato, un amico mi ha detto che Anna era andata a fare un lavoro». Anna voleva mettere da parte un po’ di soldi, prepararsi al compleanno del 7 giugno, quando avrebbe compiuto 18 anni. Sognava una piccola festa, forse qualche acquisto. Un progetto semplice, da ragazza, che si è trasformato in un dramma irreversibile.
«Portarmi via una figlia in questo modo…», ripete. È consapevole che sono in corso indagini, si affida con rispetto e gratitudine alla Capitaneria di porto, che descrive come «molto umana» nei suoi confronti. Eppure la convinzione resta: «Una barca così non possono portarla solo in due. Serviva più equipaggio, a bordo o in banchina».
Cresciuta in una famiglia di mare
La vita di Anna è stata sempre legata all’acqua. «Era una nuotatrice esperta, anche più di me», dice il padre con un misto di orgoglio e sconforto. La famiglia Chiti è fatta di subacquei, portuali, uomini e donne che il mare lo conoscono bene. Lo rispettano. Anna era stata cresciuta in questo ambiente, tra gite in laguna e giornate sulla barca di famiglia, insieme alla madre e alla sorella gemella, Giulia.
L’esperienza però, questa volta, non è bastata. Le condizioni erano troppo pericolose. E Anna, nonostante l’entusiasmo, non avrebbe dovuto essere lì, in quel momento, a svolgere quel compito.
Un sogno interrotto
Anna non era solo una ragazza appassionata di mare. Era una studentessa brillante, con un sogno preciso: diventare comandante e girare il mondo sulle grandi navi, da crociera o offshore. Parlava più lingue, anche il russo e l’ucraino, come le origini di sua madre. Una ragazza determinata, intelligente, pronta a costruire un futuro con le sue forze.
«Poteva fare tutto», dice il padre. Ma ora resta solo il ricordo di quel futuro. E il dolore straziante di vederla su un tavolo dell’obitorio: «Mi ha distrutto il cuore».
Anna, una presenza luminosa
Il ritratto che ne fa il padre è quello di una ragazza solare, buona, piena di energie positive. Amava i bambini, li seguiva all’oratorio, li accompagnava in montagna, al mare. Condivideva la vita e le passioni con Jacopo, il suo fidanzato e compagno di banco. «Si volevano bene», ricorda papà Umberto. Un amore giovane ma già profondo.
Ora, in mezzo al vuoto lasciato dalla sua assenza, resta una sola richiesta: la verità. «Fammi un favore, dì una preghiera per lei, io ci conto». Un appello semplice, umano, che racchiude tutto l’immenso dolore di un padre che ha perso sua figlia nel modo più insensato e crudele.