
Chamila Wijesuriya, la barista dell’hotel Berna di Milano scomparsa il 9 maggio e trovata morta due giorni dopo in un laghetto del Parco Nord, sarebbe stata strangolata a mani nude da Emanuele De Maria, il detenuto 35enne ammesso al lavoro esterno nella struttura alberghiera. Dopo aver ucciso la donna, De Maria avrebbe tentato di aggredire un altro collega con un coltello, per poi togliersi la vita lanciandosi dalle terrazze del Duomo di Milano.
Secondo i primi risultati dell’autopsia, eseguita il 16 maggio e in attesa della relazione finale, le ferite da taglio alla gola e ai polsi di Chamila non sarebbero compatibili con la causa della morte. Gli inquirenti ipotizzano che siano state inflitte dopo il decesso, mentre la morte sarebbe avvenuta per asfissia da strangolamento.
Un dettaglio anomalo, su cui si stanno concentrando le indagini, è la presenza di foglie nella bocca della vittima, che potrebbe indicare un gesto rituale. Si sta valutando un possibile collegamento con il precedente femminicidio commesso da De Maria nel 2016, per comprendere se esistano elementi ricorrenti nel suo comportamento. Sono in corso anche esami tossicologici per verificare se l’uomo fosse sotto l’effetto di sostanze.

Per questo si stanno verificando anche le modalità del precedente femminicidio che aveva commesso nel 2016. Gli esami tossicologici, con tempi più lunghi, dovranno stabilire, poi, se De Maria avesse assunto droghe.
Nel frattempo, nell’inchiesta del pm Francesco De Tommasi e di polizia e carabinieri, si sta indagando pure su eventuali sottovalutazioni e mancate segnalazioni nel percorso trattamentale e carcerario del detenuto. Ascoltando una collega come teste, in particolare, gli inquirenti hanno saputo che il 35enne avrebbe minacciato più volte Chamila, con cui era possessivo ed ossessivo.