
La pace è ancora lontana e il conflitto tra Russia e Ucraina continua a consumarsi tra trattative mancate e condizioni inaccettabili. Il mondo osserva, mentre torna a muoversi l’ombra di un possibile negoziato, ma senza certezze né garanzie. Si parla di aperture, ma nulla che somigli a una reale tregua. In questo scenario teso e drammatico, si inserisce l’ambizione americana di riscrivere i giochi con una nuova mediazione.
Una triste conferma arriva anche dai retroscena diplomatici più recenti: il fronte resta diviso e l’ipotesi di un accordo duraturo si infrange contro le richieste irremovibili di Mosca e le impossibilità politiche per Kiev. Le condizioni restano inaccettabili, anche di fronte ai tentativi più recenti degli Stati Uniti di rilanciare il dialogo. E come ammoniva Henry Kissinger, “il negoziatore che si illude di vincere con le parole e non con i fatti finirà nel purgatorio della storia”.

È in questo quadro che si inserisce l’inviato Steve Witkoff, uomo di fiducia di Donald Trump, che negli ultimi mesi ha effettuato ben quattro missioni a Mosca. I colloqui sono ripartiti dopo due anni di gelo, e per la prima volta dal 2022 una delegazione russa si è seduta di fronte a quella ucraina. Nonostante ciò, ogni timido passo è stato subito frenato dalla mancanza di un piano concreto da parte della nuova amministrazione americana.
Inizialmente, Washington ha provato a proporre un cessate il fuoco mirato a proteggere infrastrutture energetiche e aree marittime. Ma la distanza tra le parti era tale che la proposta è naufragata rapidamente. La seconda mossa è stata la richiesta di avanzare pubblicamente le condizioni per un negoziato: ma i punti delle due agende erano troppo divergenti. Da lì, l’idea di un incontro diretto, ma come hanno ricordato sia Kiev che i partner europei, senza un cessate il fuoco, ogni trattativa è solo sulla carta.

Putin ha risposto con mosse simboliche, proponendo brevi tregue: 30 ore durante la Pasqua ortodossa, tre giorni durante la parata della Vittoria. Ha perfino accennato a un incontro a Istanbul, poi ritirando tutto e inviando solo una delegazione con il mandato minimo per trattare uno scambio di prigionieri. Un bluff, secondo molti osservatori, che Trump sembra accettare pur di restare in partita.
Il punto fermo, però, resta: Putin non intende fermarsi. Le sue richieste sono sempre le stesse: riconoscimento della Crimea come russa, annessione dei territori occupati nel Donbass e nel Sud, no all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, smilitarizzazione di Kiev. Richieste che non solo sono inaccettabili per l’Ucraina, ma anche per l’intero equilibrio europeo. Gli alleati di Kiev, guidati da Germania e Francia, stanno rafforzando le sanzioni e discutendo un esercito europeo.
Intanto Zelensky non resta fermo. Ha firmato accordi economici con Washington, incluso uno sulle terre rare, e ha aperto alla possibilità di una zona di libero scambio con gli Usa. Gli ucraini si difendono con droni autoprodotti, che hanno messo in crisi la flotta russa nel Mar Nero. Scrive David Ignatius: “Trump ha davanti a sé l’occasione storica di contribuire a una mediazione per chiudere il conflitto più sanguinoso del nostro tempo. Ma se non accetterà la complessità della trattativa, l’Ucraina sarà lasciata sola. E la sua eredità sarà una macchia, non una medaglia”.