
A fine giornata, nelle cancellerie europee si diffonde un timore ormai ricorrente: che il Cremlino sia riuscito, ancora una volta, a ottenere un vantaggio strategico cruciale. Un vantaggio che non si misura in territori o concessioni, ma in qualcosa di altrettanto prezioso in tempo di guerra: il tempo. Un diplomatico europeo riassume così la situazione: «Se Putin dopo la telefonata con Trump dice che è andata bene, probabilmente non è successo nulla». Un’osservazione che rispecchia il senso di attesa e ambiguità che aleggia sulle capitali del continente.
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La tensione è palpabile: l’Europa attende con il fiato sospeso il resoconto del colloquio telefonico tra l’ex presidente degli Stati Uniti e il leader russo, cercando di decifrare tra le righe se si sia trattato di un vero passo avanti verso una soluzione diplomatica o soltanto di una nuova mossa dilatoria del Cremlino.
Dialogo con gli alleati, ma restano i dubbi
Durante la successiva chiamata con gli alleati – von der Leyen, Meloni, Macron, Merz e Stubb – Trump si mostra ottimista, se non apertamente entusiasta. Eppure, tra i partner europei permane una domanda cruciale: negoziare cosa, e per quanto tempo? Le prove di dialogo a Istanbul avvenute nei giorni scorsi sembravano aprire a un confronto concreto, ma il timore è che si tratti dell’ennesima fase interlocutoria destinata a deragliare.
Il colloquio tra Trump e Putin, presentato come uno spiraglio di pace, ha finito per generare più interrogativi che certezze. Da un lato, il Cremlino lo definisce un “colloquio costruttivo”; dall’altro, Trump si congratula con se stesso per l’esito. Ma le capitali europee restano caute, e in molti casi apertamente diffidenti. Nessun passo concreto è stato compiuto. La richiesta europea di una tregua incondizionata è stata nuovamente spostata a una fase indefinita, subordinata ad altre trattative. Una strategia che Putin ha già reso nota: «Prima di discutere di un cessate il fuoco, bisogna risolvere le cause profonde del conflitto».
Dietro questa formula si celano richieste che per l’Unione Europea restano irricevibili: la fine del governo Zelensky, la cosiddetta “denazificazione” dell’Ucraina, l’allontanamento definitivo di truppe occidentali dal suo territorio.
Il piano europeo ostacolato dall’asse Washington-Mosca
Il piano dell’Europa – una tregua di 30 giorni per favorire un’apertura diplomatica – appare oggi indebolito, se non del tutto superato, dal contatto diretto tra Trump e Putin. Con l’ombra di un possibile ultimatum statunitense e l’eventualità di sanzioni che restano soltanto minacciate, l’Unione si trova costretta a frenare anche le critiche più esplicite.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen si limita a ringraziare Trump per averli “aggiornati”, mentre l’Eliseo diffonde una nota asciutta, priva di commenti. Ma dietro il linguaggio formale, la delusione è evidente. In particolare, perché viene avvertita la sensazione che l’Europa stia tornando a un ruolo secondario, spettatrice di un dialogo bilaterale tra Washington e Mosca.

Berlino prova a tenere la linea comune
Spetta alla Germania il compito di provare a mantenere coesa la coalizione dei Volenterosi, ovvero quel gruppo di Paesi che, da mesi, sostiene Kiev nel tentativo di contenere eventuali sbilanciamenti di Trump a favore della Russia. Il portavoce del cancelliere Merz sottolinea che, durante la call con il presidente Usa, i partner europei hanno «annunciato che aumenteranno la pressione sulla Russia attraverso le sanzioni». Una linea che, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, viene ancora presentata come condivisa con Washington.
«Il presidente degli Stati Uniti e i partner europei hanno concordato le prossime tappe, tra cui una nuova riunione tecnica per coordinare il processo negoziale», ha dichiarato Stefan Kornelius, consigliere di Merz. Ma le parole non bastano a dissipare i dubbi.
Due sono i punti fermi su cui insiste l’Europa: non abbandonare la richiesta di cessate il fuoco come condizione iniziale e non permettere che i negoziati si svolgano solo tra Mosca e Kiev, escludendo l’Unione Europea. L’ipotesi – avanzata da Trump – che «ucraini e russi negozino da soli» suona come un campanello d’allarme. Se il dialogo si arena, gli Stati Uniti potrebbero decidere di defilarsi, lasciando l’Europa sola in un contesto bellico ancora in pieno sviluppo.
La posta in gioco: non perdere l’appoggio di Washington
In questo quadro, il rischio più grande per l’Europa resta quello di un disimpegno statunitense. Un’eventualità che, nel mezzo di una guerra aperta, potrebbe avere effetti devastanti. Gli europei vogliono mantenere alta la pressione sul Cremlino, ma sanno bene di non potersi permettere una frattura con Trump. Senza l’appoggio di Washington, anche le nuove sanzioni si trasformerebbero in un’arma spuntata.
La telefonata Trump-Putin, che avrebbe dovuto aprire uno spiraglio, rischia invece di sancire l’ennesimo stallo diplomatico. Con un’Europa sempre più spettatrice, costretta a camminare sul filo sottile tra prudenza e fermezza.