
È il 13 agosto 2007 quando i carabinieri del RIS fanno il loro ingresso nella villetta di via Pascoli, a Garlasco, dove poche ore prima è stata trovata morta Chiara Poggi. A guidare le operazioni scientifiche è il comandante Luciano Garofano, che insieme al suo team raccoglie i primi rilievi sulla scena del crimine. Tra questi, l’impronta di una mano sulla parete della scala che conduce al seminterrato, repertata con il numero 33, e situata a breve distanza dal corpo della vittima.
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All’epoca, quella traccia viene considerata non rilevante ai fini investigativi. Per oltre 18 anni, l’impronta numero 33 rimane nell’ombra, ignorata dagli sviluppi giudiziari e dimenticata dall’opinione pubblica. Ma oggi, con la riapertura delle indagini e il caso Poggi tornato al centro dell’attenzione mediatica, l’elemento riemerge, assumendo un nuovo significato. Nel frattempo, lo stesso Garofano è entrato a far parte del collegio difensivo di Andrea Sempio, ora nel mirino degli inquirenti.
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Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, è stato iscritto nel registro degli indagati, e su di lui si concentrano nuove ipotesi investigative. Ma quella stessa impronta, che alcuni ritengono compatibile con la sua mano, viene messa in discussione proprio da chi all’epoca aveva diretto le operazioni: Luciano Garofano, ospite in collegamento del programma “4 di Sera” su Rete 4, ha ridimensionato il peso probatorio della traccia.
Durante la trasmissione condotta da Francesca Barra e Roberto Poletti, è stata mostrata a Garofano l’immagine dell’impronta numero 33. Il biologo ha dichiarato che si tratta di una traccia “di qualità molto limitata”, e ha espresso forti dubbi sull’ipotesi che possa essere attribuita con certezza a Sempio. “Non sappiamo se quei punti siano riconoscibili in modo obiettivo – ha spiegato – e questo è fondamentale”.

Garofano ha sottolineato l’importanza di contestualizzare ogni reperto: “Anche se fosse di Sempio, ciò non significa automaticamente che sia coinvolto nel delitto. Sulla stessa parete c’erano anche impronte di Marco Poggi, fratello di Chiara, e del capitano Cassese. Nessuna di queste era insanguinata, né databile. Potrebbero avere una storia del tutto estranea al fatto criminoso”.
Il biologo ha quindi invitato a evitare ricostruzioni affrettate: “Ogni elemento va valutato alla luce di tutte le circostanze, e non isolatamente. Il rischio – ha concluso – è quello di leggere i dati con lo sguardo rivolto al colpevole, invece che alla verità”. Un monito che risuona con forza in un’indagine che, dopo quasi due decenni, continua a sollevare più domande che risposte.