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L’assassino e le scale, così è morta Chiara Poggi: Garlasco, la ricostruzione

Pubblicato: 22/05/2025 16:53

Due mani insanguinate che afferrano il corpo di Chiara Poggi e lo scaraventano giù per la scala della cantina senza toccare un solo gradino. È questo lo scenario che la villetta di via Pascoli, a Garlasco, restituisce nella ricostruzione della mattina del 13 agosto 2007. Una dinamica precisa, in cui ogni traccia racconta il gesto brutale dell’assassino. All’epoca dei fatti, questa narrazione portò alla condanna di Alberto Stasi. Ma oggi, con le nuove indagini su Andrea Sempio, le stesse tracce vengono riesaminate alla luce di una possibile presenza alternativa sulla scena del crimine.
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Il killer, secondo la sentenza definitiva, lascia un chiaro segno del suo passaggio: l’impronta di una scarpa con suola a pallini, identificata come marca Frau, numero 42. Un modello che, secondo gli inquirenti, corrisponderebbe al numero calzato da Stasi, ma non da Sempio, che indossa il 44. L’assassino si muove con sicurezza all’interno della casa, come se la conoscesse bene. Chiara, che indossa il pigiama, apre la porta senza timore: non oppone resistenza, non grida. Secondo i giudici, “aveva così tanta fiducia da non fare assolutamente nulla”, finendo colpita più volte, sollevata da terra e gettata con forza lungo le scale della cantina.

Il corpo della giovane si ferma con la testa sul nono gradino, rivolto verso il basso. Sulla maglia rosa del pigiama, nella zona della spalla sinistra, si notano quattro tracce di polpastrelli insanguinati, compatibili con chi l’ha afferrata. Sul davanti della stessa maglia, un frammento di impronta palmare conferma il contatto diretto. Tuttavia, queste prove non vennero analizzate all’epoca, perché il corpo, una volta rimosso, arrivò completamente intriso di sangue, rendendo impossibili accertamenti precisi.

La Corte ha sempre sostenuto che l’assassino, dopo l’omicidio, si sia diretto verso il bagno, dove si è lavato le mani. Sul dispenser del sapone furono rilevate due impronte digitali di Alberto Stasi, l’unico a essere finito sotto processo. Inoltre, sul tappetino del bagno è rimasta un’impronta di scarpa a pallini. Stasi, secondo gli inquirenti, avrebbe potuto calzare quel numero, a differenza di Sempio. Nella nuova ricostruzione tecnica, l’unica traccia attribuita a quest’ultimo è la famosa impronta 33, rinvenuta sulla parete delle scale: un punto in cui, però, l’assassino non è mai passato.

Nel racconto della sentenza, emerge il ritratto inquietante di un “ragazzo perbene”, definito anche come studente modello, che però avrebbe compiuto un gesto spietato per un motivo “mai chiarito”. Chiara diventa una figura “scomoda”, da eliminare. Dopo averla uccisa, Stasi avrebbe ripreso in mano la normalità: accende il computer, guarda filmati pornografici, continua a scrivere la tesi, come se nulla fosse. Una freddezza che, per i giudici, testimonia piena consapevolezza e una volontà di depistare le indagini.

La sua condotta viene descritta come tutt’altro che collaborativa: fin dall’inizio ipotizzò un incidente domestico, fornendo solo in un secondo momento elementi ritenuti utili, mentre altri furono omessi o consegnati in ritardo. Una strategia – scriveva la Corte d’Assise d’Appello nel 2014 – che ha rallentato gli accertamenti e favorito la sua posizione. A complicare tutto, anche alcuni errori commessi dagli inquirenti nelle prime fasi dell’indagine.

Oggi, con il riaprirsi del caso e la posizione di Andrea Sempio al centro dell’attenzione, si torna a parlare di quelle impronte, di quei dettagli trascurati e delle possibili verità ancora nascoste. In attesa del nuovo incidente probatorio che analizzerà Dna e reperti biologici, resta aperta una domanda: se non Stasi, chi ha lasciato quelle mani insanguinate e ha accompagnato Chiara nel buio di quelle scale?

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Ultimo Aggiornamento: 22/05/2025 17:49

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