
Potrebbero finire a processo per omicidio colposo in cooperazione due medici della provincia di Taranto, accusati di gravi omissioni diagnostiche che, secondo gli inquirenti, avrebbero impedito la tempestiva diagnosi di un tumore renale in un paziente di 47 anni, deceduto il 19 aprile 2019. La vicenda, dopo anni di indagini e una prima richiesta di archiviazione, ha trovato un nuovo sviluppo con la decisione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Taranto, Pompeo Carriere, che ha disposto l’imputazione coatta nei confronti dei due sanitari.
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Diagnosi mancata e responsabilità medica
I fatti contestati si riferiscono al periodo compreso tra il 2015 e il 2017, durante il quale il paziente si era rivolto a due strutture sanitarie della zona: la clinica Villa Verde e l’ospedale di Martina Franca. Secondo la consulenza tecnica disposta dal Gip, in almeno tre occasioni distinte, i medici – pur avendo rilevato la presenza di una cisti renale sospetta, già di oltre 7 centimetri nel gennaio 2015 – non prescrissero esami fondamentali, come una tomografia computerizzata con mezzo di contrasto. Una mancanza che, per gli esperti, rappresenta una grave negligenza professionale.
La cisti in questione, secondo i criteri della classificazione di Bosniak, risultava già allora potenzialmente maligna e avrebbe dovuto essere oggetto di ulteriori approfondimenti. Anche gli esami successivi, condotti nel 2016 e nel 2017, confermarono la persistenza della lesione, ma l’approccio clinico dei medici non cambiò, lasciando il paziente privo di un percorso diagnostico e terapeutico adeguato.

I genitori della vittima e l’opposizione alla richiesta di archiviazione
Il procedimento penale era inizialmente destinato all’archiviazione, come richiesto dal pubblico ministero il 30 ottobre 2024. Tuttavia, i genitori del paziente, assistiti dagli avvocati Vincenzo Farina e Giuseppe Torsello, si sono opposti alla decisione, ritenendo insufficiente l’indagine condotta. L’opposizione è stata accolta dal giudice nell’udienza camerale del 10 aprile scorso, che ha ordinato un supplemento istruttorio, inclusa una consulenza tecnica affidata a specialisti in medicina legale e oncologia.
La relazione degli esperti non ha potuto stabilire con certezza il nesso causale diretto tra l’omissione medica e la morte del paziente, ma ha comunque evidenziato una “alta probabilità logica” che un trattamento tempestivo avrebbe potuto prolungare la vita del paziente o almeno alleviarne significativamente le sofferenze. Una valutazione che ha inciso fortemente sulla decisione del Gip di rigettare la nuova richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura.

Verso il processo: imputazione coatta per i due medici
Alla luce dei nuovi elementi emersi dalla consulenza peritale, il Gip Pompeo Carriere ha disposto l’imputazione coatta per i due medici, che ora dovranno affrontare il giudizio per omicidio colposo. Il provvedimento rappresenta una svolta nel procedimento, che fino a pochi mesi fa sembrava destinato a concludersi senza alcuna responsabilità accertata.
La vicenda riporta l’attenzione sulla responsabilità medica e sull’importanza del rispetto dei protocolli diagnostici, soprattutto in presenza di segnali clinici sospetti. Il caso solleva anche interrogativi sull’efficacia del sistema di controllo interno alle strutture sanitarie, che dovrebbe garantire il corretto monitoraggio dei pazienti a rischio.
Una vicenda simbolo della fragilità del sistema
Il caso giudiziario che si sta sviluppando a Taranto non è solo una tragica storia personale, ma un esempio delle difficoltà che il sistema sanitario può incontrare nella gestione di diagnosi complesse. Il mancato approfondimento di una lesione renale classificabile come potenzialmente maligna e la ripetuta omissione di esami diagnostici fondamentali rappresentano, secondo il giudice, una condotta incompatibile con i doveri professionali di un medico.
Se confermate in sede dibattimentale, le accuse potrebbero condurre a una condanna esemplare e alla ridefinizione delle responsabilità all’interno dei contesti ospedalieri e clinici. Intanto, per i familiari della vittima, la decisione del Gip rappresenta un primo riconoscimento della sofferenza e del senso di abbandono vissuti negli anni successivi alla morte del loro congiunto.