
Un tramonto infuocato sulle steppe del Mali tingeva di rosso il campo profughi, mentre un giovane fotografo, con lo sguardo attento come quello di un esploratore rinascimentale, attendeva il momento esatto in cui il volto segnato dalla fatica di una vita sconvolta avrebbe raccontato, senza parole, la storia di un popolo. In quell’istante, la fragile dignità impressa negli occhi di un anziano tuareg trovò un riscatto indissolubile: quell’immagine sarebbe poi diventata simbolo di solidarietà e coscienza civile in tutto il mondo.
Qualche anno più tardi, era sulle pendici dei vulcani in Ecuador che, armato di sola macchina fotografica e di una fierezza pari a quella degli ultimi sopravvissuti all’eruzione, cercava di cogliere il dramma della terra in subbuglio, lontano dalle comode strade del fotogiornalismo di superficie. Quel racconto per immagini, crudo e poetico insieme, si fece presto tappa obbligata nelle gallerie più prestigiose e nelle riviste più lette, insegnando a intere generazioni di reporter l’importanza di guardare oltre lo scatto e di sentire il respiro delle storie che si raccontano.

È morto a Parigi, a 81 anni, Sebastião Salgado, leggenda del fotogiornalismo contemporaneo. A dare la notizia è stata oggi l’Académie des Beaux-Arts, che – con un comunicato – ha ricordato l’eredità culturale e umanitaria di un artista capace di raccontare il mondo con empatia e rigore etico.
Vita e successi di Salgado
Nato nel 1944 a Aimorés, nello stato di Minas Gerais, in Brasile, da famiglia di origine portoghese, Salgado iniziò la sua carriera come economista prima di dedicarsi, nel 1973, alla fotografia documentaria. Il grande salto avvenne a metà degli anni Ottanta, quando l’agenzia Magnum Photos lo accolse tra i suoi soci: da lì partì per reportage indimenticabili in Africa, Asia, America Latina e Medio Oriente.

Il suo progetto “Workers” (1993-1999) – un’immensa messa a fuoco sul lavoro manuale e sulle condizioni spesso disumane in cui milioni di persone guadagnano da vivere – gli valse fama mondiale, seguita da “Migrations” (2000-2005), un viaggio nelle rotte dei profughi e degli sfollati di guerra ed eco-disastri, e da “Genesis” (2013-2019), omaggio alla bellezza incontaminata del pianeta e ai popoli che vivono in armonia con la natura.
Oltre al riconoscimento della critica, Salgado ha ricevuto numerosi premi internazionali, tra cui il Prix Pictet e il W. Eugene Smith Grant. Con la moglie Lélia Wanick, ha co-fondato nel 1998 il Parco del Vale do Rio Doce, in Brasile, un ambizioso programma di riforestazione e tutela ambientale.

Con la sua scomparsa, il mondo della fotografia perde non solo uno dei suoi maestri più ispirati, ma anche una voce instancabile a difesa degli ultimi. Il suo sguardo, capace di trasformare la sofferenza in impegno e speranza, continuerà a vivere in ogni immagine che saprà riflettere la complessità e la bellezza del nostro tempo.