
Le impronte ci sono. Le amnesie, anche. Ma a incastrarsi, nel quadro dell’omicidio di Chiara Poggi, è soprattutto la discrepanza tra dichiarazioni, ambienti e tracce materiali. Sei impronte ancora senza nome sono state rilevate sui muri delle scale che portano al seminterrato della villetta di via Pascoli, dove la ragazza fu uccisa. Eppure, proprio quel seminterrato, Andrea Sempio — oggi indagato — dice di averlo frequentato solo per “giocare con la Playstation”. Ma i videogiochi, lì sotto, non ci sono mai stati.
Il rebus delle scale: cosa ci faceva la mano di Sempio?
La traccia 33, quella che riapre il caso, è stata attribuita al palmo destro di Andrea Sempio. È l’unica, finora, ad avere un nome certo. Le altre sei — numerate 32, 35, 38, 42, 49 e 51 — restano anonime. Né i familiari Poggi, né gli amici, né Alberto Stasi, né Stefania Cappa risultano compatibili. Gli altri segni sono datati: c’è il pollice del fratello Marco Poggi, quello del capitano Cassese, ma nulla che spieghi chi abbia toccato il muro vicino al corpo di Chiara nel momento sbagliato.
E il problema diventa decisivo quando Sempio — che fino a poco tempo fa non aveva mai parlato di scendere in cantina — cambia versione. Prima niente. Poi, all’improvviso, dice che sì, ci scendevano. Con lui c’era anche Marco Poggi, che però il 12 marzo scorso, durante il suo interrogatorio, non aveva menzionato la cantina. Solo tre settimane dopo, lo fa. Un’inversione improvvisa, e difficile da spiegare.
I videogame come alibi, ma sono al piano di sopra

La narrazione si complica quando emerge un altro dettaglio: la Playstation non è mai stata in cantina. A documentarlo sono le foto del sopralluogo e soprattutto i verbali di Marco Poggi e di sua madre. Tutti i giochi, i film, le consolle sono sempre stati in salotto o in camera di Chiara. In cantina, solo oggetti da deposito: bottiglie, costumi, scatole. Nessun videogioco, nessun motivo per “scendere a giocare” con gli amici.
Eppure Sempio sostiene l’opposto. Un ricordo che riemerge solo ora, e solo per giustificare un’impronta datata che non dovrebbe trovarsi lì. Troppo comodo? Troppo tardi? Gli inquirenti sembrano pensarla così. E se aggiungiamo il fatto che Sempio ha disertato l’interrogatorio per un vizio di forma, il quadro si fa ancora più opaco.
Una storia che si sbriciola
In Procura, i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano lavorano in silenzio, ma le domande si moltiplicano. Sui dispositivi sequestrati — cellulari, chiavette, hard disk — si cercano nuovi elementi. E soprattutto, si cerca un articolo: quello che Sempio avrebbe scritto durante un corso di comunicazione, proprio sul delitto di Garlasco. Una riflessione teorica su un omicidio che ora rischia di diventare autobiografica.
Le contraddizioni non sono semplici smagliature. Sono crepe nella linea di difesa di un ragazzo che non ha mai confessato nulla, ma che, pezzo dopo pezzo, sembra aver lasciato troppe tracce sbagliate nel posto giusto. E i magistrati, adesso, hanno deciso di tornarci.