
In queste settimane di tensione calcistica, tra tabelle Champions, ansie da spareggio e pronostici incerti, mi ha scritto un amico napoletano, tifoso sfegatato degli Azzurri. La sua lettera è un piccolo gioiello di umorismo scaramantico e teatro dell’assurdo, capace di far sorridere anche un interista come me. Un testo da leggere tutto d’un fiato, come il sorso di mirto che annuncia nell’epilogo.
«Caro Andrea,
la gente già festeggia senza avvedersi che così facendo si va dritti e inconsapevoli verso la più grande disfatta sportiva del secolo, si corre, spensierati, incontro al tracollo come l’Aranycsapat a Berna, il Brasiu al Sarria, Mondino Fabbri a Middlesbrà e il Milan con la Cavese.Regione e Comune hanno già stanziato un milione di euro per la festa scudetto, distraendo delle risorse vilmente stanziate per la lotta alla camorra, la fame nel mondo e la costruzione di una casa di riposo abusiva per parcheggiatori terremotati.
Era già pronto l’itinerario per il bus scoperto, senonché Politano ha detto che lui sul bus non ci sale, pretende una cabrio d’epoca con due minorenni vergini al fianco. E pure Mazzocchi s’è impuntato, vuole un passaggio nel suo quartiere, Barra, dove circolano solo diligenze trainate da somari.
Intanto dei buontemponi hanno esploso mortaretti sotto l’albergo del Cagliari. Finite le scorte, hanno trasmesso Geolier a tutto volume, tanto che a un certo punto Yerry Mina si è affacciato, supplicandoli di tornare ai petardi pur di non sentire più quella roba.
Ma noi pagheremo caro. Quando illusoriamente passeremo in vantaggio, Deiola, novello Obdulio Varela, prenderà la palla e tornerà a centrocampo a testa alta. Sarà Piccoli, lo Schiaffino del Poetto, a gelare lo stadio, e poi Augello, il Ghiggia dei Nuraghi, sgropperà sulla fascia e infilerà il gol beffardo.
Lo sconforto calerà sullo stadio come una nube tossica dalla Terra dei Fuochi. Ci chiederemo: dove bruciare il bandierone col 4? Come togliere la tinta azzurra dai capelli? Come coinvolgere Marotta per spiegarci la disfatta?
Io non ce la farò. Ho già pronta la bottiglia di Mirto Zedda-Piras e l’imbuto. Manderò giù tutto in un sorso, come quando vendettero Kvara a gennaio, e per me sarà finita.
Perdonami amico, e non piangere per me. Ti scriverò da lassù, dove le pene calcistiche non esistono e le partite si vedono meglio che dalla sala VAR di Lissone».
Una lettera tragicomica, irresistibile, che è tutto tranne che disfattista: è l’essenza del tifo napoletano, dove la scaramanzia è atto d’amore, e ogni sconfitta immaginata è una dichiarazione d’attaccamento. Che vincano o meno, lo spettacolo lo fanno anche (e soprattutto) i tifosi come lui.