
Benjamin Netanyahu torna sulla scena mediatica con un messaggio dirompente, pronunciato in un video-discorso pubblicato sul sito ufficiale del governo israeliano. In un tono che mescola dolore personale, denuncia politica e propaganda ideologica, il premier attacca frontalmente i leader occidentali, accusandoli di ipocrisia e di voler premiare il terrorismo.
L’occasione è il recente attentato avvenuto a Washington, in cui sono stati uccisi Yaron Lischinsky e Sara Milgrim, due giovani legati all’ambasciata israeliana. Al momento dell’arresto, l’attentatore ha gridato Free Palestine. Per Netanyahu, è la prova che “non sono stati uccisi per caso. Sono stati colpiti perché ebrei”.
Su quel grido, Free Palestine, il leader israeliano costruisce la tesi centrale del suo intervento: “Lo stesso grido, Free Palestine, lo abbiamo sentito il 7 ottobre, quando i terroristi di Hamas hanno compiuto il peggior massacro dalla Shoah”.
“Free Palestine è il nuovo ‘Heil Hitler’”
Il passaggio più controverso arriva poco dopo, quando il premier israeliano lancia un’accusa esplicita e pesantissima: “Free Palestine oggi è come dire ‘Heil Hitler’”. E rilancia una visione assoluta dello scontro in corso: “Non vogliono uno Stato palestinese. Vogliono annientare lo Stato ebraico”. Un’equazione in cui Hamas viene paragonato al nazismo e ogni espressione di solidarietà al popolo palestinese diventa, nella sua lettura, un atto di complicità con l’odio.

Il bersaglio: Macron, Starmer, Carney
Nel mirino del leader israeliano finiscono tre figure di peso della scena internazionale: Emmanuel Macron, Keir Starmer e Justin Trudeau (che Netanyahu chiama “Carney”, presumibilmente confondendo il nome del premier canadese). “Hamas ha ringraziato il presidente Macron e i primi ministri Starmer e Carney per aver chiesto a Israele di porre immediatamente fine alla sua guerra a Gaza. Hamas ha fatto bene a ringraziarli”.
Poi l’affondo: “Presentando la loro richiesta, accompagnata dalla minaccia di sanzioni contro Israele – contro Israele, non contro Hamas – questi tre leader hanno di fatto affermato di volere che Hamas rimanga al potere. Vogliono che Israele si faccia da parte e accetti che l’esercito di assassini di massa di Hamas sopravviva, si ricostruisca e ripeta il massacro del 7 ottobre ancora e ancora”.
Ed ecco il colpo finale: “Quando assassini di massa, stupratori, assassini di neonati e rapitori vi ringraziano, siete dalla parte sbagliata della giustizia. Siete dalla parte sbagliata dell’umanità e siete dalla parte sbagliata della storia”.
Gaza affamata, ma Netanyahu accusa l’ONU
Mentre il mondo guarda con crescente preoccupazione alla crisi umanitaria a Gaza, Netanyahu rifiuta ogni responsabilità e attacca le Nazioni Unite e i media internazionali. “Un funzionario dell’Onu ha detto che 14mila bambini moriranno in 48 ore. È una bugia di Hamas. Ma la stampa la ripete e la folla ci crede”.
Natanyahu rivendica inoltre gli sforzi logistici israeliani: “Abbiamo mandato 92mila camion di aiuti a Gaza. Hamas li ha rubati, rivenduti ai civili e usati per finanziare nuovi terroristi”. La soluzione? Secondo il premier, passa per un nuovo sistema di distribuzione: aiuti consegnati direttamente da compagnie americane, protette dall’esercito israeliano in zone sicure.

Una narrazione che però cozza con le continue denunce di organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere, Emergency e World Food Programme, che parlano apertamente di carestia imminente, ospedali al collasso e bambini malnutriti.
La questione degli ostaggi e il richiamo alla civiltà
Netanyahu torna infine sulla questione degli ostaggi detenuti da Hamas, offrendo aperture solo parziali: “Siamo pronti a tregue temporanee per liberarli, ma esigiamo il rilascio totale”. E rilancia una contrapposizione netta tra Israele e Hamas: “Noi non colpiamo civili. Hamas sì, e usa i propri come scudi umani. È un doppio crimine di guerra. Ma chi ci critica non dice nulla su questo”.
Il discorso si chiude con un ringraziamento esplicito a Donald Trump e un messaggio all’alleato americano: “Voglio ringraziare Donald Trump e il popolo americano. Insieme vedremo la vittoria della civiltà sulla barbarie”. È l’ultima pennellata di un racconto identitario e radicale, in cui Israele si presenta come bastione dell’Occidente, la guerra diventa battaglia esistenziale, e ogni voce critica è dipinta come tradimento.