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Cannes 2025, l’iraniano Panahi conquista la Palma d’oro: “Il cinema è libertà”. La città nel buio, il festival resiste

Pubblicato: 24/05/2025 19:59

Per cinque ore Cannes si è spenta. Un blackout totale ha paralizzato le strade, i caffè, i corridoi dell’industria. Ma non il Palais du Festival. Lì dentro, mentre fuori tutto taceva, il cinema ha continuato a scorrere alimentato da un generatore d’emergenza. Ritardi, attese, sospiri: tutto si è stretto intorno a un’attesa carica di tensione e promessa. Le luci si sono riaccese solo poco prima della cerimonia.

Quando Jafar Panahi, regista iraniano dissidente, ha sollevato la Palma d’oro, il buio si è fatto simbolo. Con voce spezzata, ha parlato a chi in Iran lotta per esistere: “Che nessuno ci dica come vestirci, cosa fare, come comportarci. Mettiamo da parte le differenze: conta solo la libertà”. Accanto a lui, la figlia Solmaz. Davanti a lui, un’intera platea in piedi.

Un semplice incidente, una frattura nell’anima

Il film premiato si intitola Un simple accident. Racconta di un padre, una madre incinta, una bambina. Un viaggio interrotto da un cane investito, un’ossessione che riemerge: l’uomo crede di riconoscere nel meccanico che li soccorre l’ex aguzzino, colui che l’ha torturato in carcere. La verità diventa ricerca collettiva, coinvolge altri ex detenuti. Una pellicola intima, feroce e dolce insieme, che Juliette Binoche ha definito “per il cuore e per la vita nuova”.

Il ritorno del dolore, i fantasmi del passato

Il Grand Prix è andato a Sentimental Value del norvegese Joachim Trier. Un padre famoso, due figlie spezzate, un film che è anche un tentativo di riconciliazione. Stellan Skarsgård, Renate Reinsve, Elle Fanning: un cast imponente, guidato da un regista che ha ricordato come suo padre scappò dal nazismo trovando rifugio nella musica. “Questa storia è anche sua”, ha detto.

Alla regia è stato premiato Kleber Mendonça Filho per L’agente segreto, thriller brasiliano che si addentra nei meandri della dittatura militare del ’77. L’attore protagonista, Wagner Moura, ha vinto come miglior attore, anche se assente alla cerimonia. “Il Brasile è bellezza e poesia”, ha detto il regista, stringendo il premio tra le mani.

Gioventù, identità, desiderio

Nadia Melliti è la miglior attrice per La petite dernière di Hafsia Herzi, regista francese di origini algerine. Il film racconta Fatima, adolescente musulmana che cambia scuola e si scopre attratta dalle ragazze. Una frattura interiore, raccontata con dolcezza. La pellicola ha vinto anche la Queer Palm. Melliti ha ringraziato la madre, i docenti, chi ha creduto in lei “anche nei momenti di dubbio”.

Il Prix du Jury è stato assegnato ex aequo: a Sirat di Oliver Laxe, ambientato nel deserto marocchino tra strade rotte e rave perduti, e a Sound of Falling di Mascha Schilinski, racconto onirico di quattro giovani donne in una fattoria tedesca che dissolvono il tempo nei propri ricordi.

Il sogno come forma di resistenza

Bi Gan, cineasta cinese, ha ricevuto un premio speciale per Resurrection, film che attraversa i generi partendo dal cinema muto fino a un futuro post-apocalittico. Una donna e un essere metà robot metà umano, un mondo dove sognare uccide e solo chi rinuncia sopravvive. “Dedico questo premio ai miei figli”, ha detto il regista.

Il premio alla sceneggiatura è andato ai fratelli Dardenne per La maison maternelle. Come sempre, racconto di dolore e tenerezza, con cinque giovani protagoniste. A consegnarlo è stato John C. Reilly, che ha scherzato sul blackout cantando La vie en rose.

La Camèra d’or per l’opera prima è stata assegnata da Alice Rohrwacher a The President’s Cake, film iracheno che ha incantato per sguardo e autenticità. Una menzione speciale è andata a My Father Shadow, ambientato in Nigeria.

Il festival della libertà, il cinema che non si inginocchia

Cannes 2025 non ha celebrato solo il cinema: ha celebrato la libertà. In un mondo attraversato da nuove censure, restaurazioni ideologiche e persecuzioni identitarie, ha scelto le storie che resistono. Quella di Panahi — prigione, esilio, cinema come unica arma — si è stagliata come emblema.

Il suo film non è una parabola sull’Iran: è una ferita aperta, una dichiarazione d’amore per la verità. Cannes, anche quest’anno, ha dimostrato di essere molto più di un red carpet: un altare laico dove il cinema non smette di alzare la voce.

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