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Raid israeliani su Gaza, colpita la casa di una dottoressa: uccisi 9 dei suoi 10 figli

Pubblicato: 24/05/2025 15:12

È accaduto all’improvviso, mentre la città sembrava assopita nella fragile illusione di una tregua. Un raid aereo israeliano ha colpito una palazzina residenziale a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, radendo al suolo l’abitazione di una pediatra in servizio presso l’ospedale locale. All’interno, al momento dell’attacco, si trovavano il marito e i dieci figli della donna. Nove di loro sono morti sul colpo. Il decimo, un bambino di undici anni, è sopravvissuto con ferite gravissime. Il padre è stato estratto vivo, anch’egli ferito, pochi minuti dopo il bombardamento.

Il più grande dei figli aveva dodici anni, il più piccolo appena pochi mesi. In quel momento la madre, ignara della tragedia imminente, si trovava al lavoro, immersa tra corsie affollate di pazienti e infermiere. Quando ha ricevuto la notizia, non ha avuto bisogno di parole. L’odore acre di fumo, le urla che salivano dal quartiere, le sirene e poi il silenzio. La sua casa non c’era più. Al suo posto, solo rovine annerite e corpi senza nome trascinati via da mani tremanti.

Testimoni locali riferiscono che il raid sarebbe avvenuto pochi minuti dopo che il marito, anche lui medico, era rientrato a casa dopo aver accompagnato la moglie al lavoro. Una tragica coincidenza che ha reso lo scenario ancora più devastante. Alcuni video, circolati rapidamente nella notte, mostrano le salme carbonizzate dei bambini estratte da sotto le macerie. Le immagini, dure e insostenibili, hanno provocato ondate di commozione e rabbia, anche tra operatori sanitari e volontari accorsi per prestare soccorso.

Una guerra che annienta le famiglie

L’attacco di Khan Younis rappresenta una delle stragi più gravi dall’inizio dell’offensiva, non solo per il numero delle vittime, ma per la loro condizione: civili, bambini, persone che dormivano nelle loro stanze. Il fatto che si trattasse della famiglia di una dottoressa, nota in città per il suo impegno con i piccoli pazienti, ha conferito all’evento un impatto simbolico ancora più potente. In una terra dove il confine tra la vita e la morte è diventato sottile come la polvere che si posa sulle macerie, questa tragedia ha infranto ogni residuo di distanza tra la guerra e l’intimità delle case.

Le forze israeliane, impegnate in una vasta campagna di bombardamenti nella Striscia, non hanno fornito dettagli sull’obiettivo specifico del raid. L’edificio colpito, secondo quanto riferito da fonti locali, non ospitava né miliziani né strutture militari, ma soltanto famiglie.

Un equilibrio impossibile

L’episodio di Khan Younis mette a nudo la natura profondamente asimmetrica del conflitto in corso. Da un lato uno Stato dotato di un esercito regolare, di sistemi di difesa avanzati, di una rete diplomatica consolidata. Dall’altro, una popolazione sotto assedio, compressa in un lembo di terra dove non esistono più linee sicure né zone franche. Ogni casa può diventare un bersaglio, ogni famiglia una perdita annunciata.

La strategia israeliana, improntata da settimane a colpire in profondità con l’obiettivo dichiarato di smantellare la rete militare di Hamas, sta provocando un numero crescente di vittime civili, ponendo il governo di Tel Aviv sotto crescente pressione internazionale. Eppure, ogni appello al cessate il fuoco si infrange sul muro di una logica bellica che ha rinunciato alla proporzione. Ogni incursione sembra voler parlare più al mondo che agli avversari: una dimostrazione di forza, una dichiarazione di resistenza.

In questo scenario, il dolore di una madre che perde nove figli in un istante si somma a una lunga teoria di lutti anonimi che non trovano più spazio nei bollettini ufficiali. E diventa, forse suo malgrado, la fotografia definitiva di questa fase del conflitto: non più una guerra tra eserciti, ma una sistematica erosione del tessuto umano.

Una guerra senza futuro

Sul piano geopolitico, la strage di Khan Younis rischia di diventare un punto di rottura. Da un lato, i governi occidentali — pur continuando a garantire il diritto di Israele a difendersi — faticano sempre più a giustificare episodi di questo tipo davanti all’opinione pubblica. Dall’altro, l’isolamento diplomatico della leadership palestinese si aggrava, stretta tra il discredito internazionale di Hamas e l’impotenza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

In mezzo, c’è la frattura crescente tra la comunità internazionale e le regole della guerra. I civili non sono più “effetti collaterali”: sono bersagli. La linea tra operazione militare e punizione collettiva si fa sempre più sottile. E quando a crollare non sono solo gli edifici, ma le basi morali su cui si regge il diritto bellico, l’orizzonte che si intravede non è quello della pace, ma quello di una vendetta infinita.

La domanda che rimane sospesa sopra le macerie di Khan Younis non riguarda più solo chi ha premuto il pulsante del drone. Ma chi ha deciso che una casa piena di bambini potesse essere un obiettivo legittimo.

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