
Una casa silenziosa in una mattina d’estate. Un cancello, una porta, una scala. Il sangue, poi il vuoto. Il delitto di Garlasco ha segnato un’intera generazione. Non solo per l’atrocità dell’omicidio di Chiara Poggi, ma per l’interminabile ricerca della verità. Una verità ancora in discussione, ancora sotto la lente.
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Nel tempo, i tribunali hanno parlato. Le sentenze hanno fatto il loro corso. Gli atti si sono chiusi, le condanne si sono emesse. Ma nel cuore di chi osserva, resta un dubbio che torna. Si insinua tra le pieghe della giustizia, tra le parole degli esperti, tra i sospiri dei familiari. La domanda è sempre la stessa: è davvero finita?
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E quando a parlare è chi ha vissuto quei fascicoli, chi ha annusato la scena del crimine, chi ha analizzato ogni dettaglio, allora il peso delle parole cambia. Diventa più forte. Si fa ascoltare anche da chi pensava che tutto fosse chiaro.
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La voce di chi ha indagato: “Possibile che in carcere ci sia un innocente”

Giampietro Lago, per quindici anni alla guida del Ris di Parma, oggi in congedo da tre mesi, rompe il silenzio. A Bassano del Grappa, dove vive, concede un’intervista che riapre una ferita mai del tutto chiusa. Lago conosce ogni passo dell’indagine, ogni piega del caso. Ha lavorato anche come consulente della procura nel processo d’appello bis contro Alberto Stasi, condannato a 16 anni.
Alla domanda più delicata, quella che non si può ignorare, risponde con fermezza: “È possibile che in carcere ci sia un innocente. Questo vale per Stasi come per altri”. Nessuna sentenza lo ha mai lasciato indifferente, ma oggi mette in fila alcune valutazioni tecniche che scuotono.
Gli elementi nuovi e la possibilità di revisione del processo

Lago non si sbilancia su Andrea Sempio, figura entrata tardi nell’inchiesta. Non vede in lui la chiave per scagionare Stasi, ma avverte qualcosa di più profondo: “Sono emersi elementi nuovi, che hanno un certo grado di verosimiglianza”. E non si ferma lì.
Il generale lascia aperto uno spiraglio che può cambiare tutto. Un varco giuridico, sì, ma soprattutto umano: “Se gli elementi fossero clamorosi, Stasi potrebbe usare l’istituto della revisione del processo”. Parole nette, che pesano come macigni.
Oggi Alberto Stasi si trova in carcere. La giustizia lo ha ritenuto colpevole. Ma quando un ex vertice dei carabinieri scientifici afferma che potrebbe non doverci stare, il senso delle cose cambia. La revisione del processo non è un automatismo. Ma resta lì, come un’ancora possibile, pronta a emergere se le novità fossero davvero sconvolgenti.