
Il Dieselgate ha scosso l’industria automobilistica europea nel profondo. Il caso è esploso nel 2015, quando è emerso che diversi motori diesel erano stati truccati per falsificare i test sulle emissioni. Lo scandalo ha coinvolto milioni di veicoli in tutto il mondo e ha colpito l’immagine di Volkswagen, colosso tedesco e principale produttore dell’Unione Europea.
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L’inchiesta ha svelato una rete complessa di decisioni e responsabilità distribuite ai vertici dell’azienda. I software manipolati permettevano alle auto di ridurre le emissioni solo durante i test, mentre in condizioni reali i livelli risultavano molto più alti. La scoperta ha dato il via a cause legali, sanzioni miliardarie e un lento ma inesorabile crollo della fiducia nei confronti del marchio.
Nel tempo, l’attenzione della magistratura si è concentrata su alcuni dirigenti di alto livello, sospettati di aver avuto un ruolo diretto nel sistema di frode. Il procedimento giudiziario si è trascinato per anni, tra accuse incrociate, rinvii e tentativi di chiarire le rispettive responsabilità.
Condannati quattro ex manager

Il tribunale di Braunschweig, in Bassa Sassonia, ha condannato quattro ex dirigenti di Volkswagen per frode in relazione al Dieselgate. Il tribunale si trova nei pressi di Wolfsburg, sede storica del gruppo automobilistico.
Due dei condannati sconteranno una pena inferiore ai due anni, sospesa con la condizionale. Gli altri due, invece, dovranno affrontare la detenzione. Le pene arrivano al termine di un processo durato quasi quattro anni, iniziato nel settembre 2021.
Durante le udienze, gli imputati si sono più volte accusati a vicenda, tirando in ballo anche l’ex amministratore delegato Martin Winterkorn. Quest’ultimo, inizialmente incluso nel processo, è stato escluso per motivi di salute. Il suo procedimento è stato separato ed è stato rinviato nel 2024 dopo un ricovero ospedaliero.
Possibile appello
La sentenza non è definitiva. I legali degli ex dirigenti potranno ricorrere in appello, aprendo la strada a nuovi sviluppi giudiziari. Il caso continua a rappresentare una ferita aperta per l’industria europea e un monito per il futuro della trasparenza aziendale.