
A quanto sembra i suoi capi sono stati eliminati. Sembra, perché in realtà non è noto quanti siano. Due, tre, quattro, dieci, cinquanta? E dove vivono? In un sotterraneo della Striscia? In Qatar? In Iran? Una sola cosa è certa: l’organizzazione terroristica che ha organizzato la mattanza del 7 ottobre 2003 e che vorrebbe cancellare Israele dalle carte geografiche ha un efficiente ufficio stampa. Il quale è capace di diffondere in tutto il mondo video e comunicati ogni 5 minuti. Di fatto inonda il web e sa perfettamente condizionare l’informazione globale, al contrario di Israele. Che arriva sempre tardi, rincorre, arranca, senza ottenere risultati. Forse Hamas non vincerà la guerra reale. Certamente ha vinto quella virtuale.
L’ufficio stampa che non si sa dove sia riesce a convincere il mondo che esiste un ministero della Sanità nella Striscia di Gaza, pronto a fornire dati immediati sugli esiti di ogni azione militare israeliana. Con dettagli precisi: due donne, tre bambini, quattro uomini. Vero, probabilmente. O falso, come l’allarme per l’imminente rischio di morte per denutrizione di 14mila bambini, negato dall’Onu. O vero, come il video della spiaggia di Gaza, con gli ombrelloni, e i ragazzini che fanno il bagno mentre a pochi chilometri l’aviazione israeliana bombarda.
Dunque Israele ha perso la guerra mediatica, che di questi tempi è più importante di quella vera. Al di là dell’antisemitismo/antisemitismo, riemerso ovunque, anche da questa clamorosa sconfitta dipende il moltiplicarsi delle mobilitazioni anti israeliane. Vero è che erano passati appena due/tre giorni dal 7 ottobre e quando la solidarietà emotiva per la strage era già svanita. Come se l’aggressione di Hamas sia stata in realtà una conseguenza di un inesistente attacco israeliano. Come se Israele non fosse legittimata, anche moralmente, a reagire militarmente. Non poteva non farlo. Lo ha fatto come avrebbe fatto qualunque Stato aggredito. Ma la retorica mediatica sui palestinesi vittima e gli israeliani carnefici e’ prevalente da decenni. L’ufficio stampa funziona e non è stato creato l’altro ieri.
Detto questo, mentre le trattative – interrotte – hanno prodotto solo il rilascio di una piccola quota degli ostaggi in cambio di migliaia di palestinesi filo-Hamas detenuti, e’ lecito e necessario interrogarsi sul futuro possibile. Allo stato è difficile comprendere quale sia la strategia del premier Netanyahu. Se realmente immagina di risolvere tutto occupando militarmente dopo 20 anni gran parte della Striscia si illude. I gazawi sono probabilmente stanchi di essere anch’essi vittime di Hamas. Tuttavia, pur volenterosi, pur avendo inscenato qualche timida protesta, non sembrano in grado di rovesciare l’organizzazione terroristica. Una nuova occupazione alimenterebbe piuttosto la solidarietà contro Israele. Il rischio mortale è l’isolamento totale di Gerusalemme nella regione. Gli accordi di Abramo del 2020 tra Emirati, Stati Uniti e Israele potrebbero saltare, invece di allargarsi all’Arabia Saudita e alla Siria. Persino Egitto e Giordania potrebbero fare un passo indietro, o di lato. Israele potrebbe perdere il tradizionale sostegno incondizionato degli Stati Uniti, sembra incrinato.
In mano a Netanyahu quali carte rimarrebbero? Sul piano interno anche il Likud sembra interrogarsi sul da farsi mentre, oggi, si festeggia lo Yom Yerushalayim, cioè l’unificazione di Gerusalemme dopo la vittoria nel 1967 nella Guerra dei Sei Giorni. Festa macchiata dall’aggressione di giovani ebrei contro commercianti arabi nella Città Vecchia. A Netanyahu resterebbe il sostegno dei partitini dei coloni estremisti e degli ultra ortodossi religiosi. Poca cosa in vista delle elezioni parlamentari del prossimo anno. Sarebbe la fine della sua lunghissima carriera politica. Forse spera che l’occupazione di Gaza determini un rinnovato consenso. Il che è però molto dubbio.
Ma questo è un ragionamento sul dopodomani. Per l’oggi resta aperta la crisi degli ostaggi e continua a imperversare l’ufficio stampa. Con notizie contraddittorie su un accordo di tregua.