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Garlasco, trovato nella chiavetta di Chiara Poggi il file “abusati550” sui preti pedofili: salvato due mesi prima della morte

Pubblicato: 27/05/2025 12:06
Garlasco chiavetta Poggi preti

Un file Word salvato su una pendrive, un titolo inquietante – abusati550.doc – e una nuova pista investigativa che rimescola le carte sul delitto di Garlasco. Dopo quasi vent’anni, torna a far parlare di sé uno dei casi più discussi della cronaca nera italiana, e lo fa con l’ipotesi di una rete criminale coinvolta in reati di pedofilia e abusi sessuali. A rilanciare l’attenzione è Massimo Lovati, avvocato di Andrea Sempio, oggi unico indagato nel nuovo filone d’inchiesta della Procura di Pavia.
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Il file nella chiavetta di Chiara Poggi

L’elemento attorno a cui ruota questa nuova teoria è il contenuto di una chiavetta USB appartenente a Chiara Poggi, la ragazza uccisa nella sua abitazione di Garlasco nell’agosto del 2007. All’interno della pendrive, la giovane aveva salvato, due mesi prima della sua morte, un file dal titolo abusati550.doc. Si tratta di una raccolta di articoli e notizie riguardanti abusi sessuali nella Chiesa, con particolare riferimento a casi di pedofilia commessi da sacerdoti. Un elemento rimasto per anni sottovalutato, ma ora riletto alla luce delle nuove dichiarazioni dell’avvocato difensore di Sempio.

Secondo Lovati, quel file dimostrerebbe che Chiara Poggi si stava documentando su temi delicatissimi, probabilmente perché a conoscenza di fatti scottanti che avrebbe voluto denunciare. Una tesi che si intreccia con altre intercettazioni e vicende emerse nel corso degli anni, e che apre scenari finora giudicati improbabili.

L’ombra del santuario e l’ipotesi del sicario

Lovati avanza un’ipotesi precisa: Chiara sarebbe stata uccisa da un sicario, e Alberto Stasi, condannato in via definitiva per l’omicidio, sapeva ma non poteva parlare. Una ricostruzione che sembra ruotare attorno al santuario della Bozzola, nei pressi di Garlasco. In quel luogo, nel 2014, il sacerdote don Gregorio Vitali fu al centro di un caso di estorsione a sfondo sessuale. Due cittadini romeni gli avevano estorto oltre 250 mila euro, minacciandolo di diffondere registrazioni compromettenti.

In quel contesto, venne ventilata – senza prove giudiziarie – l’esistenza di un giro di pedofilia legato alla comunità religiosa. Alcuni passaggi della trasmissione Chi l’ha Visto? raccolsero testimonianze che suggerivano una possibile connessione con la morte di Chiara. “La ragazza aveva scoperto il giro e diceva che avrebbe parlato, da lì è partito tutto”, avrebbero detto in un’intercettazione i due ricattatori. Parole che, pur prive di fondamento legale, tornano oggi ad accendere il dibattito.

Il ruolo della difesa e le nuove indagini

In questo scenario già complesso, si inserisce la posizione di Andrea Sempio, amico di Chiara e figura tornata sotto i riflettori grazie al nuovo filone d’indagine aperto a Pavia. Il suo legale, Massimo Lovati, ha puntato l’attenzione su elementi a lungo ignorati o accantonati, come la pendrive e le circostanze mai chiarite del movente.

Secondo la difesa, la pista che porta a una struttura organizzata capace di ricorrere alla violenza per proteggere i propri segreti merita attenzione. Una organizzazione criminale che, secondo Lovati, potrebbe aver agito in silenzio, utilizzando metodi estremi per proteggere un sistema di abusi. Una teoria che va ben oltre il caso individuale e che chiama in causa istituzioni religiose e coperture di cui, al momento, non esistono prove concrete.

Nessun legame provato tra il file e l’omicidio

Nonostante le suggestioni, va sottolineato che nessun collegamento diretto tra il file trovato nella penna USB e l’omicidio di Chiara Poggi è stato finora dimostrato. Le ipotesi avanzate dall’avvocato Lovati restano tali: ipotesi, prive di riscontri oggettivi in sede giudiziaria. Tuttavia, la semplice esistenza di quel documento, unita alla coincidenza temporale con la morte della ragazza, continua ad alimentare dubbi e domande mai sopite.

L’apertura del nuovo fascicolo a carico di Sempio e la riscoperta di alcuni dettagli dimenticati potrebbero spingere la procura a verificare percorsi alternativi a quello che ha condotto alla condanna definitiva di Stasi. Ma sarà il lavoro degli inquirenti a dire se ci sono elementi nuovi davvero rilevanti o se si tratta di un falso sentiero, emerso nel tentativo di riscrivere una vicenda che per molti è tutt’altro che conclusa.

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