
Emergono nuove rivelazioni attorno al delitto di Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007 e rimasto uno dei casi più controversi della cronaca giudiziaria italiana. A distanza di anni, riemerge una telefonata risalente al 12 febbraio 2008, in cui Stefania Cappa, cugina di Chiara Poggi e sorella gemella di Paola Cappa, esprime il suo malessere per il comportamento dei carabinieri, intervenuti nella sua abitazione per chiedere informazioni legate all’inchiesta.
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La telefonata: “Non ce ne frega niente della tua bici”
La frase che dà il titolo alla vicenda è estratta da una telefonata tra Stefania Cappa e un amico. Durante la conversazione, la donna riferisce con amarezza il dialogo avuto con i militari dell’Arma, che si erano recati da lei per chiedere il tutore ortopedico di Paola, usato in seguito a una caduta in bicicletta. La ragazza avrebbe risposto infastidita: “Non ce ne frega niente della tua bici, delle tue scarpe e dei tuoi vestiti… si sono fatti capire, no? Ok mi sta bene però… c’è da vedere anche il lato umano di tutta la storia”.
Il riferimento è alla testimonianza — poi ritrattata — di un uomo che, parlando con gli inquirenti, aveva indicato una giovane donna in bicicletta che si aggirava in maniera sospetta nei pressi della casa di Chiara Poggi il giorno dell’omicidio. La descrizione, che citava “una ragazza con in mano un oggetto simile a un piedistallo o a una canna da fucile”, risultò poi inattendibile. Il testimone infatti ammise di essersi inventato tutto.

Il tutore al centro dell’interesse investigativo
Nel racconto di Stefania Cappa, riportato dal quotidiano Il Tempo, emerge chiaramente l’irritazione per la richiesta ricevuta dai carabinieri. Nonostante lei e la sorella non fossero indagate e le loro posizioni fossero considerate marginali, la Cappa reagisce con rabbia: “Gli ho detto: voi sapete come sono io, ho sempre collaborato con voi nel massimo rispetto… ma se ho il carattere così è perché sono le situazioni che mi hanno resa così”.
Un passaggio particolarmente significativo è quello in cui la donna collega la sua rabbia al contesto familiare: “Quando ti trovi una sorella in quelle condizioni, una madre che si considera una fallita e una zia che chiede perché Chiara non c’è più… vorrei vedere voi al mio posto”.

La replica dei carabinieri e la frustrazione
Secondo il racconto telefonico, di fronte alla sua reazione i carabinieri si sarebbero scusati, spiegando che non erano lì per fare sequestri né per indagare sulle sorelle Cappa, ma solo per raccogliere il tutore di Paola. Le parole riferite da Stefania suonano come una difesa da parte delle forze dell’ordine: “Devi pensare che se siamo venuti ora a chiedere quella cosa, e non sei mesi fa, è solo perché se fossimo venuti allora… immagina cosa avrebbero detto i media”.
Una spiegazione che però non convince la cugina di Chiara, la quale ribatte: “Allora perché non siete venuti sei mesi fa quando è successo il delitto?”. Un interrogativo che rimane sospeso, insieme alla sensazione di frustrazione e ingiustizia che traspare dalle sue parole.
Il contesto emotivo di una famiglia devastata
Al di là dei dettagli procedurali, questo episodio getta nuova luce su un aspetto raramente raccontato nella vicenda: l’impatto umano ed emotivo vissuto dai parenti della vittima e da coloro che, pur non coinvolti direttamente nelle indagini, si sono trovati a interagire con il sistema giudiziario in un momento di massima tensione.
La testimonianza telefonica di Stefania Cappa è un esempio di come, nei grandi casi di cronaca nera, il dolore e lo stress delle famiglie possano generare incomprensioni, risentimenti e una profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni. “Quando vi trovate a rispondere alla domanda: come mai Chiara non c’è più?…”, dice Stefania, sottolineando la gravità del trauma vissuto.
Un’indagine tra dubbi e contraddizioni
Il caso del delitto di Garlasco continua a suscitare interrogativi. Condannato in via definitiva, Alberto Stasi, fidanzato della vittima, ha sempre professato la propria innocenza. Tuttavia, attorno alla vicenda restano zone d’ombra e testimonianze incerte, come quella dell’uomo che aveva parlato della misteriosa ragazza in bicicletta. La sua successiva ritrattazione ha rafforzato la sensazione di una verità giudiziaria ancora fragile, nonostante le condanne.
L’episodio raccontato da Stefania Cappa, pur se marginale dal punto di vista probatorio, rappresenta una tessera importante del puzzle emotivo e sociale che si è costruito attorno a quel tragico 13 agosto 2007. Mostra come, accanto ai verbali e alle sentenze, ci siano vite spezzate, famiglie segnate e un dolore che fatica a trovare pace.