
Lunedì, a Palazzo Chigi, più che un pranzo istituzionale è andato in scena uno scontro a tre. La premier Giorgia Meloni ha convocato i suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, per un confronto a porte chiuse che, secondo ricostruzioni attendibili, si è trasformato rapidamente in un acceso botta e risposta politico. Dopo le comunali, sono emersi i nervi tesi di una maggioranza che inizia a mostrare crepe profonde.
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Lo scontro sull’Europa e sul Ponte
Ad accendere la miccia, le esternazioni filo-Trump di Salvini al Festival dell’Economia di Trento, dove il leader della Lega ha ipotizzato trattative bilaterali con gli Stati Uniti in materia commerciale, scavalcando le competenze dell’Unione Europea.
Un’uscita che ha fatto infuriare la premier Meloni, costretta a ricordare al suo vice che la politica commerciale è prerogativa esclusiva della Commissione Europea. Qualsiasi iniziativa autonoma dell’Italia rischierebbe di attivare una procedura d’infrazione dalle conseguenze gravi per il Paese.
Le critiche a Salvini si sono poi estese al suo scontro con il Quirinale sulla vicenda del codice antimafia per i cantieri del Ponte sullo Stretto. Il ministro delle Infrastrutture, infatti, si è detto contrario a certi meccanismi di controllo, posizione giudicata da molti nel governo come inopportuna e rischiosa.

Genova e il conto delle Comunali
Quando sono arrivati i risultati delle elezioni comunali, in particolare la sconfitta del centrodestra a Genova, è stato Salvini a passare all’attacco. Il leader della Lega ha puntato il dito su Meloni per aver convinto Marco Bucci, sindaco uscente e figura gradita al Carroccio, a candidarsi alla guida della Regione Liguria.
Una mossa che ha escluso Edoardo Rixi, nome forte della Lega, dalla corsa a sindaco e spaccato il fronte del centrodestra. Secondo Salvini, senza quella forzatura di Fratelli d’Italia, Genova oggi sarebbe ancora saldamente nelle mani della coalizione.
Tajani e il peso di Scajola
A stemperare (si fa per dire) il duello tra Meloni e Salvini è intervenuto Antonio Tajani, che ha richiamato entrambi alla realtà dei numeri. Se la coalizione governa ancora in Liguria, ha ricordato il leader forzista, è grazie al sostegno elettorale di Claudio Scajola, ancora decisivo nei territori di Savona e Imperia. Senza di lui, oggi alla presidenza della Regione ci sarebbe probabilmente Andrea Orlando per il Partito Democratico.
Un ammonimento, quello di Tajani, che suona come un invito alla prudenza e alla coesione. Ma che evidenzia anche quanto la tenuta della maggioranza sia appesa a equilibri delicatissimi e a pacchetti di voti personali, più che a una visione politica realmente condivisa.

Il segnale delle urne
Il vertice si è concluso in un clima plumbeo, ulteriormente peggiorato dalla constatazione che il centrodestra, nonostante la continua esposizione mediatica della premier e dei suoi alleati, ha subito un colpo durissimo alle urne. Il caso Genova è solo la punta dell’iceberg di un malessere elettorale che coinvolge anche altre città e che fa suonare un campanello d’allarme in vista delle prossime scadenze politiche.
Il centrodestra governa, ma fatica a convivere. Le differenze strategiche e di leadership, una volta tenute a bada da sondaggi favorevoli, ora esplodono sotto il peso delle urne e delle ambizioni personali. Il pranzo di lunedì ha segnato l’ennesimo inciampo che conferma un equilibrio sempre più fragile.