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Medici di famiglia, la proposta di riforma: formati dall’università e dipendenti. Cosa cambia

Pubblicato: 29/05/2025 09:27
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Il confronto sul futuro della medicina di base italiana entra in una nuova fase. Dopo anni di dibattito e resistenze, le Regioni hanno messo nero su bianco una bozza di riforma destinata a cambiare il rapporto tra lo Stato e i medici di famiglia, aprendo la strada a un sistema più flessibile, con margini di manovra lasciati alle singole amministrazioni locali. Un cambiamento potenzialmente epocale per il Servizio sanitario nazionale, che però si annuncia ancora una volta come un percorso in salita.
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Il documento, che sarà sottoposto al vaglio del ministero della Salute, lascia alle Regioni la possibilità di scegliere tra tre soluzioni: mantenere i medici in regime di convenzione, assumerli come dipendenti pubblici, oppure adottare un modello misto. Una proposta che, seppure ancora in fase preliminare, rappresenta un passo avanti dopo anni di immobilismo e tensioni con le sigle sindacali di categoria.

Le origini normative e il nodo della convenzione

La bozza parte dalla legge 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che già prevedeva la possibilità di impiegare personale dipendente o convenzionato per l’erogazione dell’assistenza primaria. In pratica, il cittadino può scegliere il proprio medico di fiducia tra queste due figure. Tuttavia, nei decenni successivi, la prassi ha portato a una predominanza del rapporto convenzionale, criticato da più parti per la sua rigidità e per l’incapacità di garantire la piena integrazione con il sistema pubblico.

Il tentativo di superare questa impostazione storica si scontra ora con le forti resistenze dei sindacati medici, da sempre contrari a una modifica dello status giuridico dei professionisti. Nonostante l’evidente difficoltà politica che accompagnerà il cammino della riforma, il documento regionale segna comunque un punto di rottura rispetto al passato.

Un nuovo modello formativo per la medicina generale

Tra i punti centrali del testo vi è la proposta di riformare anche il sistema di formazione dei medici di medicina generale, attualmente gestito dalle singole Regioni. La bozza prevede che la formazione avvenga attraverso un corso di specializzazione universitaria, come avviene per le altre discipline ospedaliere, indipendentemente dallo status lavorativo che il professionista andrà a ricoprire.

Le Regioni continueranno a programmare il numero di borse di studio in base al fabbisogno locale, adeguando l’offerta formativa alle reali esigenze dei territori. È proprio questa attenzione alle peculiarità territoriali a guidare il principio di flessibilità dell’intero documento, che consente a ciascuna amministrazione di decidere se reclutare medici dipendenti oppure convenzionati.

Possibili percorsi agevolati per il passaggio alle dipendenze

Per agevolare la transizione, la bozza prevede la possibilità che i medici già attivi come convenzionati possano scegliere di passare al regime di dipendenza pubblica tramite percorsi semplificati, con il riconoscimento dei titoli e delle esperienze pregresse. Questo passaggio non sarà obbligatorio, ma potrà rappresentare una via alternativa soprattutto per i più giovani o per chi opera in contesti dove la carenza di personale rende difficile garantire l’assistenza.

Inoltre, per rendere più attrattivo il ruolo di medico di famiglia, i nuovi professionisti – sia assunti sia convenzionati – potranno accedere a scuole di specializzazione in aree legate all’assistenza territoriale, come geriatria o cardiologia, rendendo più fluido il collegamento tra medicina generale e specializzazione.

Nuove regole per i convenzionati e gruppi accreditati

Per i professionisti che decideranno di mantenere il regime convenzionale, il documento propone nuove formule, come quella dell’accreditamento privato, preferibilmente destinato a gruppi di medici che operino all’interno delle Case della Comunità. Si tratta di strutture sanitarie territoriali previste dal Pnrr, destinate a diventare il fulcro della sanità di prossimità, ma oggi a rischio di rimanere senza personale adeguato.

In parallelo, vengono ipotizzati obblighi operativi più stringenti per i convenzionati: dal debito orario, alle prestazioni minime da garantire, fino alla definizione di luoghi di lavoro e strumenti informatici da adottare. Tutto questo al di fuori della contrattazione collettiva nazionale o locale, per evitare che i vincoli burocratici impediscano una reale riforma dell’assistenza di base.

Un sistema in equilibrio tra autonomia regionale e garanzie nazionali

La proposta delle Regioni rappresenta un equilibrio delicato tra autonomia gestionale locale e necessità di garantire un sistema sanitario uniforme e accessibile su tutto il territorio nazionale. Le divergenze con i sindacati, la complessità del quadro normativo e le incognite politiche rendono tuttavia incerto l’esito finale di questo percorso.

Ciò che appare evidente è che l’urgenza di ripensare la figura del medico di medicina generale, e il suo ruolo nel sistema sanitario pubblico, non può più essere rimandata. La bozza rappresenta un tentativo concreto di rispondere a questa esigenza, pur tra mille difficoltà. Ora la parola passa al governo, che dovrà scegliere se raccogliere la sfida o lasciare tutto com’è.

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