
Il mondo della letteratura africana perde una delle sue figure più emblematiche: Ngugi wa Thiong’o, scrittore, poeta e drammaturgo keniota, è morto all’età di 87 anni. La notizia della sua morte è stata confermata mercoledì 28 maggio dalla famiglia, con un messaggio pubblicato sui social dalla figlia Wanjiku wa Ngugi, che lo ha ricordato come un uomo che «ha vissuto una vita piena e ha combattuto una buona battaglia». Ngugi si è spento in un ospedale a Buford, in Georgia, dove viveva da circa vent’anni.
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Una vita dedicata alla libertà e alla cultura
Nato nel 1938 a Limuru, allora parte della colonia britannica del Kenya, Ngugi wa Thiong’o ha attraversato oltre sei decenni di storia, sempre in prima linea nella denuncia del colonialismo e delle derive autoritarie post-indipendenza. La sua infanzia fu segnata da povertà e violenza: cresciuto in una famiglia di agricoltori a basso reddito, perse il fratello Gitogo durante la rivolta dei Mau Mau, uno degli episodi più cruenti della lotta per l’indipendenza del Kenya.
Da quegli anni difficili nacque una vocazione profonda per la scrittura come atto politico. Le sue opere riflettono il tormentato passaggio del Kenya dalla dominazione coloniale a una fragile democrazia, sottolineando il peso delle contraddizioni e dei traumi non risolti.
Dalla censura all’esilio, una voce mai piegata
Durante gli anni del regime repressivo di Daniel Arap Moi, Ngugi visse sulla propria pelle la censura, il carcere e infine l’esilio. I suoi lavori, considerati sovversivi dal governo, lo portarono all’arresto nel 1977 dopo la messa in scena di una pièce teatrale in lingua kikuyu, parlata dalla popolazione rurale. Da quel momento, la sua produzione letteraria si svolse prevalentemente all’estero, mantenendo però un legame costante con il Kenya e la sua gente.
Stabilitosi negli Stati Uniti, Ngugi divenne una figura di riferimento nel panorama intellettuale internazionale, grazie alla sua capacità di coniugare analisi politica e narrazione letteraria in una lingua incisiva e colma di tensione morale.

L’eredità letteraria: romanzi, teatro e saggi
Il corpus delle opere di Ngugi wa Thiong’o è vasto e multiforme. Romanzi come “Un chicco di grano” (1977), “Petali di sangue” (1979) e “Il Mago dei corvi” (2019) rappresentano autentici capisaldi della letteratura africana contemporanea, capaci di raccontare in profondità i conflitti storici e sociali del continente.
Attraverso i suoi scritti, Ngugi ha sempre cercato di decostruire le narrazioni imposte dalla cultura coloniale, adottando fin dagli anni Settanta una posizione radicale: scrivere nella lingua madre kikuyu, scelta che ha suscitato dibattiti ma che per lui rappresentava un atto di liberazione intellettuale.
Tra i suoi titoli più noti anche “Se ne andranno le nuvole devastatrici”, esempio perfetto del suo stile critico, eclettico e profondamente umano. Le sue opere hanno ispirato generazioni di scrittori africani, insieme a figure come Chinua Achebe e Wole Soyinka, quest’ultimo Premio Nobel per la Letteratura nel 1986.
Riconoscimenti internazionali e la corsa al Nobel
Pur non avendo mai ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, Ngugi è stato per anni considerato uno dei favoriti assoluti. Quando nel 2010 il riconoscimento fu assegnato al peruviano Mario Vargas Llosa, lo scrittore keniota commentò con ironia: «Sono stato io a consolare i fotografi delusi che mi aspettavano davanti casa».
Nel 2001 gli fu conferito il Premio internazionale Nonino, e nel corso della sua carriera fu nominato membro onorario dell’American academy of arts and letters, segno del riconoscimento globale per il suo contributo al pensiero critico e alla cultura.
Un’eredità che resta viva
Con la scomparsa di Ngugi wa Thiong’o, l’Africa e il mondo intero perdono un gigante della parola e un difensore della libertà. La sua opera continuerà a vivere come testimonianza di una battaglia intellettuale mai doma, capace di attraversare le epoche senza perdere forza o lucidità.
Nel solco da lui tracciato, resta aperta la sfida di una letteratura africana decolonizzata, capace di parlare al mondo con la propria voce, in tutte le sue lingue, le sue ferite, i suoi sogni.