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Dazi, Trump allo scontro con i tribunali: “Ricorso alla Corte Suprema”

Pubblicato: 30/05/2025 08:39
dazi Trump Corte Suprema

I dazi di Trump sono finiti nel mirino della giustizia americana. Non si tratta di una bocciatura totale, ma il colpo inferto è pesante. A infliggerlo è stata la U.S. Court of International Trade di New York, che ha giudicato illegittimo il ricorso all’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa) del 1977 per giustificare le tariffe. Una decisione che ha immediatamente alimentato tensioni istituzionali e innescato nuove incertezze nei negoziati commerciali con i Paesi colpiti, a partire dalla Unione Europea.
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Giudici divisi, ma uniti nella condanna dell’emergenza economica

Il collegio che ha deliberato contro la misura era composto da tre giudici di diversa nomina: Timothy Reif scelto da Trump, Gary Katzmann da Obama e Jane Restani da Reagan. Tutti hanno concordato nell’affermare che il presidente ha “abusato della sua autorità”, quando ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per giustificare le tariffe. Una posizione rafforzata da una seconda sentenza, firmata dal giudice Rudolph Contreras del D.C. District Court, che ha emesso un verdetto simile.

L’azione di Trump aveva previsto dazi pesanti sulle importazioni da gran parte dei Paesi del mondo. Le corti hanno stabilito che tale potere spetta al Congresso, non al presidente, e che l’utilizzo della Ieepa per scopi economici è un’interpretazione forzata della legge.

La reazione della Casa Bianca e l’intervento della Corte d’Appello

La risposta dell’amministrazione americana non si è fatta attendere. La Casa Bianca ha accusato i giudici di voler interferire con la politica estera: «Alcuni giudici non eletti non possono decidere le emergenze nazionali», ha dichiarato un portavoce. Il consigliere Stephen Miller è arrivato a parlare di un vero e proprio “colpo di Stato” dei tribunali. Subito dopo, la Casa Bianca ha chiesto di sospendere la sentenza e ha presentato ricorso.

La Corte d’Appello di Washington ha accolto la richiesta in via temporanea, sospendendo il provvedimento e lasciando in vigore le tariffe mentre il caso viene riesaminato. Tuttavia, lo scenario resta incerto: la vicenda potrebbe infatti arrivare fino alla Corte Suprema.

L’impatto economico dei dazi: inflazione e rischio recessione

I dazi di Trump hanno rappresentato una rottura netta con la politica commerciale tradizionale degli Stati Uniti. Hanno provocato scossoni nei mercati finanziari, alimentato il rischio di inflazione e aumentato le probabilità di una recessione sia negli Stati Uniti che a livello globale. Il tutto per ottenere concessioni commerciali che, secondo diversi osservatori, restano poco chiare.

La Corte ha sottolineato come il presidente abbia oltrepassato i limiti costituzionali, ricordando che spetta al Congresso stabilire la linea in materia di dazi. E intanto i mercati reagiscono con prudenza: da un lato accolgono positivamente la sentenza, dall’altro temono un’escalation giudiziaria che aggiunge instabilità al quadro internazionale.

Le azioni legali e le eccezioni sui metalli e le auto

I dazi sono stati impugnati in almeno sette cause legali, una delle quali presentata da Victor Schwartz, importatore di vini italiani con sede a New York. Temendo il fallimento a causa dell’aumento dei prezzi, Schwartz ha deciso di rivolgersi ai giudici. La corte ha riunito la sua causa con quella di altre cinque piccole imprese e quella promossa da dodici Stati americani.

La sentenza ha effetto su tutte le tariffe imposte da Trump il 2 aprile, estendendosi a gran parte dei partner commerciali degli Stati Uniti, inclusi Cina, Messico e Canada. Tuttavia, restano in vigore i dazi su acciaio, alluminio e automobili, perché derivano dalla Section 232 del Trade Expansion Act del 1962, e non dalla Ieepa.

Le possibili scappatoie legali per mantenere i dazi

L’amministrazione Trump, pur colpita, dispone ancora di margini legali per mantenere attive le tariffe. Secondo analisti di Goldman Sachs, il presidente potrebbe ricorrere alla Section 122 del Trade Act del 1974, che gli consente di imporre dazi fino al 15% per 150 giorni in caso di squilibri nella bilancia dei pagamenti. Per estendere tali misure sarebbe però necessario un intervento del Congresso.

Un’altra possibilità è l’uso della Section 301, che consente di imporre dazi illimitati, ma solo a seguito di un’inchiesta che potrebbe richiedere mesi. Inoltre, la già citata Section 232 potrebbe essere ampliata ad altri settori strategici, come quello farmaceutico. Infine, la Section 338 del Trade Act del 1930 permetterebbe a Trump di imporre dazi fino al 50% ai Paesi che discriminano gli Stati Uniti nei commerci, senza bisogno di un’indagine preliminare.

Strategia a rischio e pressione sulla Federal Reserve

Nonostante tutto, Trump non sembra intenzionato a fare marcia indietro. Ieri ha incontrato il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, per discutere le prospettive dell’economia, a fronte di un calo del Pil dello 0,2%. Il presidente continua a chiedere un abbassamento dei tassi di interesse, mentre la strategia dei dazi rischia ora una sconfessione istituzionale.

In attesa delle elezioni di metà mandato, i tribunali si confermano l’ultimo baluardo contro una gestione considerata arbitraria del potere esecutivo. Con i ricorsi ancora in corso e la possibilità di un intervento della Corte Suprema, resta aperta la questione su chi abbia davvero il potere di modellare la politica commerciale degli Stati Uniti.

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