
La Procura generale di Milano ha presentato ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale di sorveglianza che, nelle scorse settimane, ha concesso la semi libertà ad Alberto Stasi. L’uomo sta scontando una condanna definitiva a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto nel 2007 a Garlasco.
Secondo l’accusa, ci sarebbero elementi sufficienti per rivedere il provvedimento che ha permesso a Stasi di uscire dal carcere per svolgere attività lavorative durante il giorno, facendo rientro solo la sera. La richiesta alla Corte Suprema mira a ottenere la revoca del beneficio.
Il punto centrale del ricorso riguarda una recente intervista concessa da Stasi al programma televisivo Le Iene, durante un permesso per ricongiungimento familiare. Secondo quanto riferito dall’ANSA, l’autorizzazione per rilasciare dichiarazioni pubbliche non sarebbe mai stata formalmente richiesta né concessa.

Per la Procura generale, si tratta di un comportamento che avrebbe dovuto essere valutato più severamente dai giudici di sorveglianza. Il mancato rispetto delle condizioni legate ai permessi, secondo l’accusa, potrebbe compromettere il percorso rieducativo del detenuto.

La vicenda riapre il dibattito sulla gestione dei benefici penitenziari per i condannati per reati particolarmente gravi. Il caso Stasi, in particolare, continua a suscitare un ampio interesse mediatico e giuridico, anche a distanza di anni dalla sentenza definitiva.
Stasi, all’epoca dei fatti, era il fidanzato di Chiara Poggi. Dopo un lungo iter giudiziario, è stato condannato in via definitiva nel 2015 per omicidio volontario. Negli anni ha presentato diverse richieste di accesso a misure alternative alla detenzione.
Ora sarà la Corte di Cassazione a decidere se accogliere il ricorso della Procura generale e annullare la decisione del Tribunale di sorveglianza. Un eventuale accoglimento potrebbe comportare la sospensione della semi libertà e il ritorno di Stasi a un regime carcerario più restrittivo.