
Di tutte le favole che il calcio ci ha raccontato negli ultimi anni, quella tra Gian Piero Gasperini e l’Atalanta era forse l’ultima rimasta a parlare la lingua del cuore. Non degli algoritmi, dei fondi d’investimento, dei bilanci trimestrali. Ma del sudore, della crescita lenta, dell’appartenenza. E adesso, dopo otto anni di sogni coltivati a Bergamo, anche questa storia è arrivata al capolinea. In silenzio, senza clamore, com’è nello stile di chi ha costruito tutto partendo dal niente.

Da squadra di provincia a club europeo
Gasperini non se ne va da una panchina. Se ne va da una seconda casa. Da uno spogliatoio che aveva trasformato in famiglia. Da un popolo che aveva fatto innamorare del proprio gioco, delle proprie idee, dei propri ragazzi. Quando arrivò nel 2016, l’Atalanta era una squadra di provincia, a metà tra la timida salvezza e le promesse mai mantenute. Quando lascia, è un club che ha imparato a volare in Europa, a guardare negli occhi le grandi, a giocare a viso aperto contro chiunque. E, cosa ancora più rara, a rimanere se stessa.
Lui, il professore del calcio offensivo, il rivoluzionario silenzioso, l’alchimista che trasformava sconosciuti in campioni. Con lui, Bergamo ha avuto un’Atalanta che non si è mai piegata alla logica del potere calcistico. Gasperini ha dato senso alla parola “identità”, parola sempre più dimenticata in un calcio che corre troppo veloce per guardarsi dentro.
Chi ha seguito il cammino della Dea in questi anni, sa che dietro ogni accelerazione di Koopmeiners, ogni dribbling di Lookman, ogni corsa furiosa di Hateboer, c’era il cuore di Gasperini. Un cuore che batteva forte per un progetto, per una città, per un’idea. In un’epoca di esoneri lampo, di allenatori usa e getta, la sua è stata una resistenza romantica. Una fedeltà che oggi sembra fuori moda. Forse lo è davvero. Ma per questo la sua uscita di scena fa ancora più male.

Fine di un amore
L’addio di Gasperini è la fine di qualcosa di più grande di un ciclo sportivo. È il tramonto di un’illusione bella: quella che nel calcio moderno ci sia ancora spazio per le storie vere. Quelle che non si scrivono con i milioni, ma con il tempo, la dedizione, l’amore.
Ora Bergamo si risveglia da un sogno lungo otto anni. E come spesso accade con i sogni più belli, lo fa con le lacrime agli occhi. Ma anche con la gratitudine nel cuore. Perché, in un calcio che dimentica in fretta, nessuno dimenticherà mai cosa ha rappresentato Gasperini per l’Atalanta. E cosa l’Atalanta è diventata grazie a lui. Grazie, Gasp. Per averci fatto credere che l’amore, nel calcio, potesse ancora contare qualcosa.