
A quasi diciassette anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il caso di Garlasco continua ad arricchirsi di elementi oscuri e nuove controversie. Mentre la Procura generale di Milano presenta ricorso in Cassazione contro la semilibertà concessa ad Alberto Stasi, spuntano dettagli inediti e tracce mai del tutto chiarite.
Al centro del nuovo ricorso c’è l’intervista rilasciata da Stasi il 22 marzo scorso a Le Iene, durante un permesso premio. Secondo i giudici di Sorveglianza, nessuna norma gli impediva di parlare con i media. Ma per la sostituta procuratrice generale Valeria Marino, quell’uscita pubblica rappresenta una violazione sufficiente per revocare il beneficio: da qui la decisione di rivolgersi alla Suprema Corte.
Nel frattempo, emerge un nuovo dettaglio dalle carte del 2007: la borsetta di Chiara Poggi, mai sequestrata sulla scena del crimine e poi scomparsa misteriosamente dopo un furto nella casa dei familiari, avvenuto nei giorni successivi all’omicidio. Un semplice furto? O un possibile depistaggio legato a elementi contenuti nella borsa?

Ma non è tutto. Riemerge anche una pista alternativa evocata dall’avvocato Massimo Lovati, legale di Andrea Sempio, figura emersa a indagini ormai archiviate. Lovati collega il nome di Chiara a un presunto “segreto scomodo” scoperto dalla giovane sui presunti abusi sessuali avvenuti nel Santuario della Bozzola. Un segreto che, secondo la difesa, potrebbe rappresentare un movente fino ad ora sottovalutato.
Sul fronte tecnico, resta il giallo dell’impronta 33, attribuita ad Andrea Sempio e trovata su un frammento di intonaco nella cantina della villetta in cui Chiara fu assassinata. Già analizzata nel 2007 dal RIS di Parma, la traccia fu definita “inibita”, ovvero priva di Dna leggibile. I nuovi test, pur con kit più avanzati, rischiano di essere inutili: il tempo trascorso e la scarsa quantità di materiale biologico rendono ogni nuova analisi sempre più fragile.
L’intonaco, oggi oggetto di approfondimenti con metodologie più sensibili, potrebbe però essere esaurito, data la formula dell’accertamento irripetibile con cui venne esaminato all’epoca, alla presenza anche dei consulenti di Stasi.
Con Stasi condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata, il quadro giudiziario è formalmente chiuso. Ma i misteri rimasti, gli oggetti scomparsi, le piste parallele e i campioni irrisolti continuano a tenere aperta una ferita nella memoria collettiva. Il caso di Garlasco, a distanza di anni, resta un enigma giudiziario ancora inquieto.