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La Pearl Harbor di Mosca: Putin minaccia, “tutte le opzioni sul tavolo”. Paura nucleare

Pubblicato: 02/06/2025 07:48

Il conflitto tra Russia e Ucraina entra in una fase di allarme globale. Un attacco senza precedenti, rivendicato da Kiev, ha colpito al cuore la struttura strategica dell’arsenale russo. Decine di bombardieri nucleari e almeno un sottomarino balistico sarebbero stati messi fuori uso in una serie di incursioni condotte con droni, anche a migliaia di chilometri dal fronte. L’azione è stata subito definita “la nostra Pearl Harbor” da uno dei più noti analisti militari russi, e ha innescato un’ondata di richieste di ritorsione da parte dei falchi del Cremlino.

L’effetto simbolico e operativo del colpo è enorme. L’intelligence ucraina avrebbe impiegato diciotto mesi per pianificare l’operazione, riuscendo a eludere i radar e le difese aeree della Federazione. Tra le aree colpite figurano basi nell’Artico, in Siberia e nell’area centrale russa. Le perdite includerebbero almeno 40 bombardieri Tu-95 e Tu-160, mezzi essenziali per lanciare missili da crociera con testate nucleari. Secondo fonti occidentali, per ripristinare la flotta servirebbero oltre cinque anni e investimenti superiori ai 7 miliardi di euro.

La dottrina russa e la soglia nucleare

Il punto più delicato resta la dottrina militare russa, che prevede esplicitamente il diritto a una risposta nucleare in caso di attacco alle strutture strategiche. Le forze di deterrenza sono infatti considerate l’ultima linea di sopravvivenza dello Stato. La distruzione parziale di esse, soprattutto se percepita come facilitata o sostenuta dall’Occidente, può rientrare nei casi che giustificano l’impiego di armi nucleari tattiche.

Canali Telegram legati all’intelligence russa hanno invocato l’uso dell’atomica sul Mar Nero, in particolare sull’Isola dei Serpenti, come gesto dimostrativo. Questo lembo di terra, riconquistato da Kiev nei primi mesi di guerra, è simbolicamente legato all’umiliazione militare subita da Mosca e si trova in una posizione altamente sensibile, a ridosso del confine con la NATO. Un’esplosione dimostrativa in mare, senza vittime immediate ma visibile in tutta la regione, è ritenuta una possibilità concreta.

Gli scenari militari: opzioni e deterrenza

Fonti militari occidentali ritengono però più probabile, almeno in una prima fase, un’escalation convenzionale ad alta intensità. Tra le opzioni possibili figurano il bombardamento massiccio su infrastrutture energetiche ucraine, l’impiego di armi ipersoniche ad alta precisione e l’eventuale utilizzo di nuovi vettori come il missile Oreshnik, già impiegato con successo in precedenti attacchi su Dnipro e Zaporizhzhia.

Tuttavia, nessuna ipotesi viene esclusa. In ambienti NATO, cresce il timore che Putin possa rompere il tabù dell’arma nucleare non per vincere militarmente, ma per ristabilire la credibilità del suo deterrente. L’umiliazione subita, amplificata dalla diffusione virale dei video dei velivoli distrutti, ha messo in discussione la sua immagine di leader invulnerabile.

Il silenzio di Trump e la paralisi diplomatica

A pesare è anche la paralisi diplomatica. La Casa Bianca, secondo indiscrezioni, non sarebbe stata avvertita da Zelensky dell’operazione e non avrebbe rilevato i preparativi dell’attacco. Questo ha spiazzato Washington, che ora si trova in una posizione delicata. Il presidente Trump, rieletto pochi mesi fa, ha evitato di prendere posizione pubblica, preoccupato dalle ricadute su un possibile negoziato diretto con Mosca.

L’Unione europea è altrettanto divisa. Parigi e Berlino spingono per un contenimento immediato del conflitto, mentre Varsavia e Vilnius sostengono apertamente l’azione ucraina. La Gran Bretagna, accusata da Mosca di aver fornito supporto operativo all’attacco, ha smentito ogni coinvolgimento. La narrativa del Cremlino punta ora a internazionalizzare lo scontro, attribuendo la regia dell’attacco all’Alleanza Atlantica nel suo complesso.

Zelensky alza la posta: “La guerra deve tornare in Russia”

Il presidente ucraino ha chiaramente rivendicato la responsabilità politica della missione, affermando che “la guerra deve tornare lì da dove è venuta, in Russia”. Per Kiev, l’obiettivo è costringere Mosca a negoziare da una posizione di debolezza. Tuttavia, la mossa rischia di produrre l’effetto opposto: costringere Putin a un’escalation per non perdere il controllo interno e l’appoggio dei nazionalisti.

Il ricordo dell’autunno 2022, quando un fronte occidentale compatto dissuase Mosca dall’uso dell’atomica, sembra oggi lontano. Le linee rosse sono più labili, le sponde diplomatiche meno solide, la posta in gioco più alta. È un momento che richiama il concetto di “crisi nucleare”, ma in un contesto dove le regole sembrano saltate. E dove la capacità di deterrenza, oggi più che mai, passa anche dalla percezione dell’umiliazione.

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