
C’è qualcosa di profondamente scorretto — e persino pericoloso — nel modo in cui Elly Schlein ha attaccato Giorgia Meloni per la sua scelta di recarsi alle urne senza ritirare le schede. “Prende in giro gli italiani”, ha detto la segretaria del PD, trasformando una legittima opzione democratica in una colpa morale. Ma se c’è qualcuno che sta prendendo in giro gli italiani, è proprio chi finge di ignorare come funziona la democrazia italiana, e come è concepito il referendum abrogativo.
Nel nostro ordinamento, non votare a un referendum non è una fuga: è una strategia riconosciuta, pienamente costituzionale, anzi spesso usata proprio da chi vuole evitare che una minoranza attiva imponga una scelta all’intero corpo elettorale. L’articolo 75 della Costituzione è chiaro: serve la maggioranza degli aventi diritto perché un referendum sia valido. È questo il senso del quorum, ed è questo che differenzia il referendum dalle elezioni politiche. Il voto, in questo caso, non è un dovere morale assoluto, ma uno strumento di partecipazione selettiva. Si può decidere di partecipare oppure no, si può scegliere di astenersi o di recarsi al seggio e non ritirare le schede, proprio come farà la presidente del Consiglio. È una forma di obiezione consapevole, che punta a far fallire un’iniziativa ritenuta sbagliata, strumentale o mal posta.
Accusare questa scelta di “prendere in giro” il popolo italiano è un atto di malafede politica. È una distorsione della realtà democratica, e anche un modo un po’ cinico per alzare la tensione su referendum che — dati alla mano — rischiano di essere ignorati dalla gran parte dell’elettorato. Il punto, infatti, è proprio questo: Schlein ha bisogno del quorum, ma non può ottenerlo senza demonizzare chi sceglie legittimamente di non partecipare. E allora si attacca non solo Meloni, ma chiunque non si pieghi all’idea che la partecipazione debba essere obbligatoria, ideologica, totalizzante.
È qui che si rivela il vero volto di un certo pensiero progressista: non ammette l’astensione, non accetta il dissenso passivo, non concepisce che il silenzio possa essere più eloquente del rumore. La democrazia, per questa sinistra, è valida solo se produce consenso attivo, solo se genera il tipo giusto di cittadino: presente, schierato, in linea con la visione dominante. Ma questa non è libertà. È una forma gentile di totalitarismo democratico, dove tutto dev’essere partecipazione, e ogni assenza viene letta come una colpa o una truffa.
E allora no, non è Meloni a prendere in giro gli italiani. È Schlein che finge di non sapere ciò che tutti sanno: che il non voto è un diritto, non un tradimento. Che la legittimità di un referendum non si misura in base all’attivismo dei suoi promotori, ma nella capacità di coinvolgere davvero una maggioranza del Paese. E se questa maggioranza non si sente rappresentata, non si riconosce nella proposta referendaria o non la considera degna di risposta, ha tutto il diritto — democratico, costituzionale e politico — di rimanere a casa, o di entrare in cabina e lasciare le schede sul tavolo. Lo Stato di diritto vale anche per loro.
Prendere atto di questo non significa svilire la partecipazione. Significa rispettare la pluralità dei modi in cui i cittadini possono scegliere. Anche — e soprattutto — scegliendo di non scegliere.