
È uscito dal carcere da uomo libero. Giovanni Brusca, il boss mafioso che uccise più di cento persone, che strinse il telecomando che fece saltare in aria Giovanni Falcone, che sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, è tornato in libertà. Dopo 25 anni di detenzione, il “macellaio di Capaci” ha finito di scontare la sua pena, beneficiando degli sconti di legge previsti per i collaboratori di giustizia. Un fatto legale, certo. Ma anche un trauma per la coscienza collettiva di un Paese che, ancora oggi, sembra incapace di fare i conti fino in fondo con la ferocia di Cosa Nostra.
Un curriculum di morte
Brusca non fu un killer qualunque. Era il braccio armato di Totò Riina, uno dei più fedeli e spietati esecutori delle direttive corleonesi. Ebbe un ruolo diretto nella strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui morirono il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta. Ma prima e dopo quel giorno, Brusca è stato protagonista di una scia di sangue che attraversa l’Italia degli anni Novanta: omicidi di magistrati, pentiti, civili, persino parenti di collaboratori, come nel caso che più di ogni altro lo ha reso simbolo del volto disumano di Cosa Nostra: il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe, figlio del pentito Santino Di Matteo. Il bambino fu tenuto sequestrato per 779 giorni, poi strangolato e il suo corpo sciolto nell’acido.

Collaboratore di giustizia, ma fino a che punto?
Brusca ha collaborato con la giustizia. Ha parlato. Ha fatto nomi, ha contribuito a ricostruire pezzi di verità su Cosa Nostra e sul sistema criminale che l’ha alimentata. La legge prevede che a chi collabora, sinceramente e utilmente, possano essere concesse misure premiali. Una regola che ha salvato molte indagini e contribuito a indebolire la mafia. Ma qui, il problema non è la norma. Il problema è l’evidente sproporzione tra la pena scontata e l’enormità dei crimini commessi. Brusca ha distrutto vite, famiglie, intere generazioni. È possibile che bastino 25 anni per pareggiare i conti con l’orrore?

Un messaggio sbagliato
La libertà di Brusca manda un messaggio drammatico: lo Stato può perdonare l’impensabile, purché arrivi una collaborazione. Ma cosa dire alle famiglie delle vittime? Cosa dire a chi ha perso un padre, una madre, un figlio, e vede il carnefice camminare da uomo libero? La giustizia non è solo applicazione di codici, è anche rispetto della memoria, della sofferenza, del patto tra lo Stato e i suoi cittadini. Un patto che oggi, per molti, sembra tradito.
È vero: Giovanni Brusca ha collaborato. Ma Giovanni Brusca è anche l’uomo che ha premuto il bottone di Capaci, che ha fatto a pezzi un bambino per intimidire un pentito. La legge può chiudere le porte del carcere. Ma non potrà mai cancellare il sangue. E oggi, davanti a quella cella aperta, a perdere davvero sono solo le vittime.