
Un attacco massiccio e coordinato, come non se ne vedevano da mesi, ha colpito diverse basi strategiche russe, tra cui Engels e Shaykovka. I droni ucraini hanno danneggiato o distrutto numerosi velivoli, compresi i Tu-95 e Tu-22M, bombardieri capaci di trasportare armi nucleari, oltre a un prezioso aereo da ricognizione An-50. Il raid – che ha sfidato apertamente la capacità difensiva russa – è arrivato a meno di 24 ore da un previsto nuovo round negoziale a Istanbul.
Eppure, Vladimir Putin non ha proferito parola. Un silenzio assordante, denso di implicazioni strategiche. Nei giorni successivi, il presidente russo si è mostrato solo in occasioni marginali, evitando accuratamente di commentare l’attacco. Quando finalmente ha parlato, lo ha fatto definendo “terrorista” il regime di Kiev, accusato di voler sabotare ogni tentativo di tregua.
L’arsenale colpito e la minaccia atomica
Il cuore della questione, e ciò che agita analisti e diplomatici da Washington a Bruxelles, è la natura degli obiettivi colpiti. I bombardieri Tupolev danneggiati non sono strumenti bellici convenzionali: sono elementi chiave della triade nucleare russa, insieme ai missili intercontinentali e ai sottomarini strategici. Attaccarli equivale, secondo alcuni osservatori, ad alterare pericolosamente l’equilibrio della deterrenza globale.
Keith Kellogg, ex consigliere per la sicurezza nazionale sotto Trump e ora inviato speciale per l’Ucraina, ha lanciato l’allarme: “Siamo entrati in una zona grigia in cui l’escalation nucleare non è più una remota ipotesi, ma una possibilità reale”. Il tono è stato ripreso da Kirill Dmitriev, volto noto della diplomazia parallela russa e diretto interlocutore del team Maga, secondo cui “è stato colpito un asset nucleare. Serve una presa di coscienza immediata prima che sia troppo tardi”.

Le voci da Washington: tra paura e disaccordo
Anche nel campo repubblicano americano si alza la tensione. Steve Bannon e Charlie Kirk, colonne del trumpismo, hanno paragonato l’attacco ucraino al bombardamento di Pearl Harbor del 1941. Kirk è stato lapidario: “Siamo oggi più vicini a una guerra nucleare di quanto non lo fossimo all’inizio del conflitto nel 2022”.
Non si tratta solo di allarmismi dell’ala più dura. Anche figure moderate della diplomazia statunitense, come Dan Caldwell, ex consigliere del Pentagono, mettono in guardia: “Attaccare una componente della triade dell’oppositore è un rischio enorme. Gli Stati Uniti dovrebbero smarcarsi da queste azioni e interrompere ogni forma di sostegno che possa portare a una guerra diretta con Mosca”.
Putin: silenzio, accuse e calcolo strategico
Nella narrativa russa, rilanciata dal Consigliere per la politica estera Yuri Ushakov, il raid è stato un atto deliberato per minare i negoziati. Il Comitato investigativo guidato da Aleksandr Bastrykin ha classificato l’azione come un attacco terroristico orchestrato dai servizi di Kiev. In un discorso breve ma carico di tensione, Putin ha ribadito che non ci sono le condizioni per un incontro diplomatico: “Con chi possiamo parlare, se l’altra parte si affida al terrore?”.
La versione ufficiale del Cremlino afferma che l’incontro telefonico tra Putin e Trump – confermato da fonti americane e russe – non ha incluso discussioni sostanziali sulla bozza di memorandum fra Mosca e Kiev. Trump, parlando pubblicamente, ha però fatto trapelare un altro messaggio: “Putin ha detto con forza che la Russia risponderà all’attacco”.
Il grande rischio nucleare
Siamo a un bivio cruciale. Il raid ucraino ha sfiorato la linea rossa che separa il conflitto convenzionale da quello atomico. Non è chiaro se Putin risponderà con un’escalation militare, una rappresaglia tecnologica, o un’azione simbolica per ristabilire l’equilibrio strategico. Ma è certo che il rischio di un conflitto nucleare “accidentale” non è più un tabù nelle stanze del potere occidentale. E quando il silenzio di Mosca si prolunga, non è mai un buon segnale.