Vai al contenuto

Che vergogna l’Italia del calcio, meno male che Sinner c’è!

Pubblicato: 06/06/2025 22:51

L’aria è pesante, a fine partita. L’erba del campo è ancora fresca di pioggia, ma nell’anima degli azzurri c’è solo il gelo della disfatta. In campo, la Nazionale sembra l’ombra di se stessa: svuotata, imprecisa, con giocatori smarriti e un’idea di gioco che si sbriciola minuto dopo minuto. I norvegesi fanno quello che vogliono, affondano come coltelli nel burro, e il tricolore finisce per sventolare come una bandiera bianca.

In quei novanta minuti, il calcio italiano tocca uno dei punti più bassi degli ultimi anni. E non è solo questione di una sconfitta. È il modo. L’atteggiamento. Il corpo molle di un gruppo che sembra senza anima e senza guida. Una nazionale che non riesce mai a tirare in porta e che, anzi, guarda l’avversario giocare, costruire, segnare, quasi con reverenza.

Per fortuna che c’è lui

Ma mentre una parte d’Italia si inginocchia sul prato norvegese, c’è un altro pezzo di Paese che rialza la testa e stringe il pugno. È Jannik Sinner, con la racchetta in mano e lo sguardo limpido, a salvarci dal disonore sportivo. In una giornata in cui si sarebbe potuto parlare solo di vergogna, ci pensa lui a scrivere un’altra storia. Una di quelle da ricordare, da raccontare con orgoglio.

Contro un campione eterno, un mostro sacro come Novak Djokovic, Sinner non si limita a vincere: domina, controlla, si prende la scena con la naturalezza di chi ha capito che questo è il suo tempo. Nessun trionfalismo, nessuna posa: solo il tennis puro, e una testa che sembra fatta di acciaio e di calma.

Due Italie in campo

La distanza tra questi due mondi non è solo sportiva. È culturale. Da una parte, la nazionale che inciampa nei suoi limiti, prigioniera di schemi vuoti e facili alibi. Dall’altra, il ragazzo dell’Alto Adige che lavora, cresce, combatte, vince. Senza clamore, senza fare proclami. Ma con una forza interiore che oggi ci sembra rara.

Il contrasto è impietoso: mentre gli azzurri del pallone si perdono nelle loro mediocrità, il numero uno del tennis italiano riscrive la storia e ci ricorda cosa vuol dire rappresentare un Paese con dignità. E la domanda che sorge spontanea è questa: possibile che nel calcio, con tutti i mezzi e le attenzioni che ha, nessuno riesca più a mostrare quella fame, quella lucidità, quella eleganza di spirito?

Una lezione che viene dal cemento, non dal prato

Sinner non è solo un campione sportivo. È una bussola. Una dimostrazione vivente che si può essere giovani, italiani, eppure credibili, solidi, vincenti. In lui non c’è nulla del vezzo social, della lamentela facile, dell’ego fragile. E se oggi gli italiani si attaccano alla sua maglietta bianca, come naufraghi a un legno, è perché sanno che lì c’è ancora qualcosa di vero.

Il calcio azzurro, invece, sembra perso in un eterno ritorno del peggio. Cambiano i nomi, passano i commissari tecnici, ma la sostanza resta: si corre poco, si pensa meno, e si gioca come se la maglia non pesasse più.

Un paese diviso tra applausi e fischi

Ecco perché, oggi più che mai, è giusto dirlo forte: meno male che Sinner c’è. Perché almeno lui ci salva dall’imbarazzo, ci fa credere che l’Italia, quella vera, esiste ancora. Sta solo giocando su un altro campo.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure