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Umiliati dalla Norvegia e Mondiale a serio rischio, Spalletti ora deve dimettersi

Pubblicato: 06/06/2025 22:41

L’Italia è stata travolta 3-0 dalla Norvegia in una delle notti più umilianti della sua storia recente. Una sconfitta netta, senza attenuanti, che rimette in discussione tutto: il progetto tecnico, la tenuta mentale del gruppo, la guida di Luciano Spalletti. Il Mondiale 2026 è di nuovo un miraggio, e con questa Nazionale così fragile, confusa e demotivata, è difficile pensare di meritare un posto tra le grandi.

Spalletti, un progetto fallito

Contro una Norvegia volenterosa ma certo non irresistibile, l’Italia ha mostrato tutti i suoi limiti, tecnici e soprattutto mentali. Il CT Luciano Spalletti non è mai riuscito a dare un’identità chiara a questa squadra, che continua a cambiare interpreti, moduli e approccio, ma senza mai trovare equilibrio né coraggio.

A Oslo si è toccato il fondo: una Nazionale senza anima, incapace di reagire, vulnerabile ad ogni ripartenza, praticamente mai in partita. Il centrocampo è stato surclassato, la difesa ha commesso errori da dilettanti, l’attacco non ha mai impensierito il portiere avversario.

Un gruppo molle, senza spirito

La responsabilità di una simile prestazione non è solo tecnica, ma anche motivazionale. Questa squadra è apparsa arrendevole, spenta, svuotata. E in una serata in cui serviva personalità, l’Italia ha mostrato solo paura e disorientamento. È evidente che il commissario tecnico non ha più in mano lo spogliatoio. E nel calcio, quando manca la reazione emotiva prima ancora che tecnica, il problema è profondo.

Se ama la maglia, Spalletti faccia un passo indietro

Dopo due fallimenti consecutivi nelle qualificazioni Mondiali, il calcio italiano non può permettersi l’ennesimo disastro. Spalletti ha avuto tempo, fiducia, risorse. Ma ha fallito. Se davvero ama questa Nazionale, ora deve prendersi le sue responsabilità. Non servono più parole, serve un gesto.

Spalletti deve dimettersi. Non per vendetta, non per sfiducia, ma per rispetto: della maglia, della storia, dei tifosi. Perché chi non riesce a trasmettere nulla a questo gruppo, non può essere l’uomo della ricostruzione.

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