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Caso Resinovich, l’aborto e i 100mila euro sul conto: cosa non torna

Pubblicato: 07/06/2025 12:21
Resinovich misteri irrisolti aborto

La morte di Liliana Resinovich, 63 anni, resta uno dei gialli più inquietanti degli ultimi anni in Italia. A più di due anni dal ritrovamento del suo corpo, avvolto in sacchi della spazzatura in un boschetto nei pressi del parco di San Giovanni a Trieste, le indagini non hanno ancora fornito una verità definitiva. Le contraddizioni tra perizie, versioni divergenti e dichiarazioni tardive rendono il caso intricato e colmo di zone d’ombra.
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Liliana era scomparsa il 14 dicembre 2021. Il suo corpo venne scoperto solo il 5 gennaio 2022, rannicchiato in posizione fetale, in un’area poco distante dalla sua abitazione. Da allora, il fascicolo giudiziario è diventato sempre più complesso, tra ipotesi di suicidio, sospetti di omicidio e relazioni personali irrisolte.

Il nodo temporale: quei 22 giorni senza risposte

La prima domanda che ancora oggi non trova risposta è: dove si trovava Liliana nei 22 giorni intercorsi tra la scomparsa e il ritrovamento del cadavere? La perizia della Procura sostiene che la donna fosse nel boschetto fin dall’inizio, ma ciò contrasta con le condizioni del corpo. Il clima rigido di dicembre a Trieste e la presenza di fauna selvatica avrebbero dovuto accelerare la decomposizione. Invece, le condizioni del cadavere risultavano migliori di quanto ci si sarebbe aspettati dopo tre settimane all’aperto.

Una nuova autopsia, affidata all’antropologa forense Cristina Cattaneo, ha aggiunto ulteriori elementi di incertezza. Secondo l’esperta, Liliana sarebbe morta poche ore dopo la scomparsa, tra le 9 e le 12 del 14 dicembre. Ma se davvero fu così, chi nascose il corpo? E dove si trovava nelle ore precedenti al decesso?

Autopsie a confronto: tra fratture e dubbi metodologici

Inizialmente, gli inquirenti avevano ipotizzato un suicidio, sostenuto dalla presenza di sacchetti legati al collo e dall’assenza di segni evidenti di violenza. La prima autopsia, infatti, non rilevava fratture significative o altre lesioni riconducibili a un’aggressione. Inoltre, le tracce biologiche rinvenute sulla scena erano esclusivamente della vittima.

Ma la seconda autopsia cambia la narrazione: viene individuata una frattura alla seconda vertebra toracica, compatibile con uno strangolamento da dietro. Inoltre, nel corpo della donna era ancora presente la colazione, il che suggerirebbe una morte sopraggiunta nelle prime ore della mattina, in un lasso temporale coerente con l’ultimo avvistamento.

Il colpo di scena, però, arriva con una dichiarazione tardiva: un tecnico che partecipò alla prima autopsia ammette che potrebbe essere stato lui a provocare accidentalmente la frattura durante la preparazione del corpo. Un’ammissione che riporta il caso al punto di partenza e che rende incerta anche la tesi dell’omicidio.

Il ruolo di Sebastiano Visintin e le ombre sul passato

Al centro delle indagini c’è fin dall’inizio Sebastiano Visintin, marito di Liliana. Ex arrotino e fotoreporter in pensione, è stato indagato per omicidio volontario, anche se il suo avvocato ha parlato fin da subito di atti dovuti. Visintin ha sempre sostenuto l’ipotesi del suicidio, raccontando che la moglie viveva un periodo di profonda inquietudine personale.

A complicare la posizione dell’uomo, però, emerge la figura di Claudio Sterpin, ex campione di marcia e vecchio amore di Liliana, con cui la donna avrebbe riallacciato i rapporti negli ultimi mesi. Sterpin racconta che Liliana si recava ogni martedì a stirargli le camicie e che progettava di lasciare il marito per iniziare una nuova vita con lui. Questa relazione parallela introduce un possibile movente di gelosia o risentimento.

Una vicenda familiare dai contorni opachi

Anche Sergio Resinovich, fratello della vittima, ha sempre escluso con fermezza l’ipotesi del suicidio. Secondo lui, dietro la morte della sorella potrebbe celarsi un movente economico: Liliana avrebbe avuto un conto corrente con oltre 100mila euro. Un mese dopo il ritrovamento del corpo, Sergio presenta una memoria alla Procura, in cui accusa un parente di essere il vero responsabile della morte. Tuttavia, nessuna prova concreta ha mai supportato questa pista.

Nel gennaio 2023, la Procura chiede l’archiviazione del caso, ma il giudice per le indagini preliminari Luigi Dainotti respinge la richiesta, mantenendo aperto il fascicolo.

L’aborto del 1991 e l’impatto sulle indagini

Ulteriori dubbi emergono da un’intercettazione ambientale: Visintin confessa di aver accompagnato Liliana nel 1991 ad abortire, nonostante non fosse lui il padre del bambino. Questo episodio, riemerso dopo trent’anni, porta a una nuova attenzione investigativa sul rapporto tra i coniugi e sfocia nella riesumazione della salma per ulteriori accertamenti.

L’ultima perizia della dottoressa Cattaneo conclude che Liliana sarebbe morta nella stessa area in cui è stata ritrovata, senza che il corpo venisse spostato. Una versione che rafforza l’ipotesi di una morte immediata e localizzata, ma che resta in bilico tra le tesi di suicidio e omicidio.

Nessuna verità definitiva, solo nuove domande

A oggi, la morte di Liliana Resinovich rimane senza un colpevole. Le perizie si contraddicono, i testimoni si contrappongono e le ipotesi investigative non hanno ancora condotto a prove definitive. La vicenda continua a dividere l’opinione pubblica, oscillando tra empatia per la vittima e la ricerca della verità.

Un caso che solleva interrogativi inquietanti: è possibile che, a distanza di due anni, la giustizia non sia ancora riuscita a fare chiarezza su una morte tanto misteriosa quanto straziante? O siamo di fronte all’ennesimo esempio di un sistema investigativo incapace di sciogliere i nodi di una vicenda umana e giudiziaria complessa? Nel frattempo, il ricordo di Liliana Resinovich resta sospeso tra domande senza risposta e il bisogno inascoltato di verità.

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