
Quelle parole non sono state pronunciate in un’aula di tribunale, né davanti a un magistrato o a un giornalista. Sono state dette tra le celle del carcere della Dogaia, a Prato, in un momento di tensione crescente, quando Vasile Frumuzache — la guardia giurata accusata dell’omicidio di due prostitute romene — si è reso conto di essere diventato l’uomo più odiato della sezione. “Ce ne sono anche altre”, avrebbe detto. Poche parole, secche, ma devastanti. Per chi le ha sentite e per gli inquirenti che da giorni scavano nel passato di un uomo che, fino a poco tempo fa, sembrava insospettabile.
La frase, riferita da più di un detenuto, ha preceduto un gesto violento e disperato: un compagno di carcere, che si è poi scoperto essere il cugino di Ana Maria Andrei, una delle vittime, ha atteso il momento giusto, si è avvicinato con una scusa e ha lanciato olio bollente in faccia a Frumuzache. Ustioni di primo e secondo grado, un’aggressione nata non solo dall’odio personale, ma da quella frase agghiacciante che ora rischia di cambiare tutto.
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Una frase che riscrive le indagini
Perché se quel “ce ne sono altre” non è stato solo uno sfogo arrogante, allora l’Italia potrebbe trovarsi davanti a un serial killer. Un uomo che, approfittando della vulnerabilità delle sue vittime e della propria posizione di apparente normalità, potrebbe aver ucciso più volte, per anni, lasciando pochissime tracce. La Procura di Prato, insieme a quella di Pistoia, ha già modificato il proprio approccio: non si tratta più solo di due omicidi, ma di una catena potenziale di crimini sommersi.
Gli inquirenti hanno richiesto i tabulati telefonici di Frumuzache degli ultimi cinque anni, il massimo periodo disponibile, e stanno analizzando gli elenchi delle donne scomparse in Toscana e in Sicilia, dove l’uomo ha vissuto fino al 2022. L’appartamento a Monsummano è diventato il centro operativo dell’indagine: lì sono stati trovati quattro telefoni cellulari, tutti ora al vaglio degli investigatori per verificare se appartengano a vittime mai identificate.

La BMW nera e i coltelli bruciati
Tra gli elementi che rafforzano l’ipotesi di un serial killer c’è anche il comportamento post-delitto. Dopo aver ucciso Ana Maria, Frumuzache avrebbe nascosto la sua auto — una BMW — nel garage di casa, riverniciandola di nero e sostituendo la targa romena con una tedesca. Una mossa calcolata, che indica preparazione e sangue freddo. Come calcolato appare anche il fatto che l’uomo abbia conservato la sim della vittima e l’abbia utilizzata la sera della scomparsa di Denisa, forse per depistare, forse per compiacersi di un potere che credeva di esercitare senza essere scoperto.
Poi c’è il ritrovamento, sulla collina delle Panteraie, di quattro lame di coltelli vicino alla valigia carbonizzata in cui è stata trovata la testa di Denisa. Una di quelle lame sarebbe compatibile con l’omicidio. Ma le altre? E perché bruciarle? Frumuzache ha detto di aver usato un coltello da cucina trovato nella stanza del residence, ma lì non c’è nessuna traccia di sangue. Ha sostenuto di aver utilizzato sacchi della spazzatura per non sporcare, ma è una versione che non ha convinto nessuno.

Il carcere, la protezione mancata e la paura
Il fatto che si trovasse nella sezione dei detenuti comuni, dove non avrebbe dovuto essere, apre un altro fronte di polemica. C’era una disposizione della Procura affinché fosse trasferito nel reparto protetti, ma a quanto pare era stato spostato per le minacce ricevute dai detenuti romeni. Una catena di errori che ha portato al contatto diretto con chi, nel carcere, lo considerava un mostro da punire. Ora il procuratore capo Luca Tescaroli ha aperto un’inchiesta parallela, dichiarando che “anche chi è accusato dei crimini più gravi ha diritto a essere tutelato e trattato con umanità”.
Ma in questo caso, è la stessa umanità che Frumuzache sembra aver perso da tempo. Lo dicono i fatti, lo suggerisce il disprezzo con cui avrebbe parlato delle vittime, e soprattutto quella frase, “ce ne sono altre”, che suona come una firma. Come un messaggio lasciato apposta, non per pentirsi, ma per farsi ricordare.
La domanda che ora pesa su tutto
Questa mattina il killer comparirà davanti al gip per la convalida del fermo. Ma l’impressione è che il lavoro degli inquirenti sia appena cominciato. Perché se davvero ha detto ciò che ha detto, se davvero “ce ne sono altre”, allora c’è un intero passato da ricostruire. Un lavoro minuzioso, lento, fatto di incroci e memoria, per dare un nome e un volto a donne scomparse, dimenticate, forse mai cercate fino in fondo.
E a quel punto la domanda non sarà più solo chi ha ucciso Ana Maria e Denisa, ma quante ne ha già uccise, e quante restano da trovare.