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“Alfredino si poteva salvare”. La scoperta dopo oltre 40 anni dalla tragedia che ha segnato l’Italia

Pubblicato: 10/06/2025 07:55

Il 10 giugno 1981 l’Italia si fermò davanti alla televisione. A Vermicino, alle porte di Roma, un bambino di sei anni, Alfredino Rampi, era caduto in un pozzo artesiano. Per oltre 60 ore, milioni di italiani seguirono in diretta le operazioni di soccorso, in quello che si rivelò un dramma senza precedenti. Un evento che non solo spezzò una giovane vita, ma segnò profondamente l’opinione pubblica, la televisione e la gestione delle emergenze nel Paese.

Il pozzo dove Alfredino precipitò era profondo 80 metri e largo appena 28 centimetri, privo di qualsiasi segnalazione o protezione. Il bambino stava tornando a casa con il padre, attraversando i campi, quando cadde nel buco. Solo dopo l’incidente un uomo tentò di coprire l’apertura con una lamiera: un gesto tardivo e inutile, che segnò l’inizio di una serie di errori fatali.

Il primo tentativo di salvataggio fu disastroso. I vigili del fuoco calarono una sottile tavoletta di legno, sperando che Alfredino potesse afferrarla. Ma la tavoletta si incastrò a dieci metri di profondità, ostruendo il pozzo. «Quel legno divenne un tappo», ricordò Franca Rampi, madre del piccolo. Da quel momento, ogni tentativo di recupero diventò ancora più difficile.

Si decise quindi di scavare un pozzo parallelo, ma anche questa operazione fu condotta con gravi carenze. Senza consultare geologi o speleologi, il nuovo scavo fu realizzato troppo vicino all’originale, provocando vibrazioni che fecero scivolare Alfredino ancora più in basso, fino a 60 metri. In più, le macchine si scontrarono con strati di peperino, una roccia dura che rallentò notevolmente i lavori.

Un altro grave errore fu la mancata partecipazione degli speleologi, esperti in interventi in spazi ristretti. Nonostante la loro disponibilità, furono coinvolti solo in un secondo momento. «Servivano speleologi, non solo ingegneri», denunciò Franca Rampi. Gli sforzi di Angelo Licheri e Donato Caruso, volontari calati nel pozzo, restano tra le immagini più forti di quella tragedia.

Il caso di Vermicino fu anche il primo evento trasmesso in diretta continua dalla televisione italiana. L’impatto mediatico fu enorme, ma anche controverso. Migliaia di persone si radunarono sul luogo, creando confusione e ostacolando le operazioni. «La folla faceva cadere terra nel pozzo», raccontò ancora la madre di Alfredino, sottolineando quanto l’improvvisazione e la pressione mediatica abbiano aggravato la situazione.

Dopo tre giorni di agonia, Alfredino morì nel pozzo, senza che nessuno riuscisse a salvarlo. La tragedia scosse l’intera nazione. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini, colpito dal dolore della famiglia, ricevette Franca Rampi e da quel colloquio nacque l’idea di un cambiamento radicale nella gestione delle emergenze.

Da quell’esperienza devastante prese forma la Protezione Civile, con l’obiettivo di garantire interventi più rapidi, coordinati e professionali. Alfredino non fu dimenticato: la sua storia resta un monito e un punto di svolta nella coscienza collettiva del Paese. Una tragedia che ha lasciato ferite, ma anche insegnamenti che continuano a salvare vite.

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