
Il mondo della musica piange un gigante. Un artista rivoluzionario, capace di cambiare per sempre il ritmo della cultura popolare, se ne va lasciando dietro di sé un’eredità incalcolabile. La sua voce, il suo stile, la sua visione hanno plasmato intere generazioni e aperto nuove strade nella musica e nei diritti civili.
Oggi il silenzio pesa di più. L’energia contagiosa di uno dei più innovativi pionieri del sound afroamericano si spegne, ma la sua arte continua a vivere nei dischi, nelle playlist, nei campioni hip hop e nei ricordi di milioni di fan in tutto il mondo.

Addio a Sly Stone, il leggendario “re del funk”, morto oggi all’età di 82 anni. A dare la notizia è stata la famiglia con un comunicato: “Dopo una lunga battaglia contro la broncopneumopatia cronica ostruttiva, Sly se n’è andato serenamente, circondato dai suoi tre figli, dal suo più caro amico e dalla sua famiglia allargata”. Parole che chiudono una vita intensa, spesso travagliata, ma profondamente influente.
Sly Stone, all’anagrafe Sylvester Stewart, aveva rivoluzionato la scena musicale tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 con la sua band, Sly and the Family Stone. Un collettivo interrazziale e misto per genere, che sfidava apertamente le convenzioni dell’epoca, non solo musicali ma anche sociali.

Il loro sound era un’esplosiva fusione di soul, gospel, rock psichedelico e funk, che ha influenzato profondamente giganti come Prince, George Clinton e Lenny Kravitz. Brani come Everyday People, Dance to the Music e Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin) sono diventati inni di un’epoca, colonna sonora della controcultura americana e delle lotte per i diritti civili.
Considerato uno dei precursori assoluti del funk, al pari di James Brown, Sly Stone aveva vissuto anche momenti bui, tra dipendenze e ritiri prolungati dalla scena pubblica. Ma la sua influenza non si è mai spenta. Oggi, mentre il mondo lo saluta, resta viva la potenza della sua musica, capace ancora di far ballare, riflettere e unire.