
Nel corso della trasmissione “È Sempre Cartabianca”, in onda su Rete 4 e condotta da Bianca Berlinguer, il dibattito si è nuovamente acceso attorno al delitto di Garlasco, uno dei casi di cronaca nera più discussi degli ultimi vent’anni. Al centro dell’attenzione, i nuovi sviluppi delle indagini da parte della Procura di Pavia, che starebbero riportando l’attenzione su Andrea Sempio, figura già emersa nei primi anni dell’inchiesta. Tuttavia, nel corso della puntata, gli ospiti in studio si sono detti fortemente critici verso la continua esposizione mediatica del caso, parlando apertamente di una spettacolarizzazione eccessiva della tragedia che ha coinvolto Chiara Poggi.
Leggi anche: Garlasco, “uno o due assassini?”: la nuova ipotesi investigativa degli inquirenti
Mauro Corona: “È un’indecenza di gossip, non ne voglio più parlare”
Ad aprire il fronte della critica è stato Mauro Corona, scrittore e volto noto della televisione, che ha espresso senza mezzi termini il proprio disagio verso l’enorme circolazione mediatica del caso. “È un’indecenza di gossip nei programmi e nei giornali”, ha detto, puntando il dito contro l’industria mediatica che si sarebbe appropriata del dolore della famiglia Poggi per trasformarlo in contenuto televisivo. “Non voglio più parlare, soprattutto per rispetto di questa ragazza macellata”, ha dichiarato Corona. La sua posizione è netta: il caso è diventato un terreno fertile per opinionisti e ospiti fissi che si spostano da un talk all’altro, alimentando una narrazione continua che poco ha a che fare con il rigore della cronaca giudiziaria.

Sansonetti: “Noi giornalisti abbiamo delle responsabilità”
Anche Piero Sansonetti, direttore di quotidiani e opinionista, ha manifestato il proprio dissenso per il trattamento mediatico della vicenda. “I genitori di Chiara Poggi hanno ragione”, ha detto con fermezza, sottolineando che la deriva spettacolare del caso riguarda in primis la categoria dei giornalisti. “Voglio sapere se c’è davvero bisogno di raccontare se Chiara aveva un telefono o due”, ha incalzato, mettendo in discussione l’interesse pubblico di certi dettagli privati. “Avere due telefoni non è un reato, persino se avesse un amante… saranno affari suoi. Non ammazzava i bambini”, ha proseguito Sansonetti, criticando la morbosità con cui vengono analizzati particolari non necessariamente collegati all’omicidio.
Nel suo intervento, Sansonetti ha fatto appello al senso di responsabilità dell’informazione, suggerendo che alcune informazioni dovrebbero rimanere fuori dai riflettori, per rispetto della vittima e dei suoi familiari.
"Garlasco è un’indecenza di gossip e io non vorrei più parlarne per rispetto di Chiara"
— È sempre Cartabianca (@CartabiancaR4) June 10, 2025
Mauro Corona a #ÈsempreCartabianca pic.twitter.com/ZK0eIp8kuJ
Petrini: “Rispetto e silenzio per questa perdita”
Dello stesso avviso anche la giornalista Valentina Petrini, che ha aggiunto: “Tutti noi dovremmo avere rispetto per questa perdita e lasciare che le indagini vengano condotte nel silenzio”. Petrini ha mostrato particolare diffidenza nei confronti del coinvolgimento mediatico di alcuni protagonisti delle inchieste giudiziarie. “Non mi fido degli avvocati che passano da una trasmissione all’altra”, ha dichiarato, alludendo al rischio che la strategia processuale venga sacrificata in favore della visibilità mediatica. Il riferimento è alle numerose presenze televisive di legali che si alternano tra studi e salotti, offrendo ricostruzioni spesso parziali e strumentali, alimentando dubbi e sospetti in un’opinione pubblica già profondamente divisa.
Tra informazione e spettacolo, il confine sempre più sottile
Il confronto andato in onda durante la puntata ha portato alla luce una riflessione più ampia sul ruolo dell’informazione nei casi di cronaca nera ad alta esposizione mediatica. Il delitto di Garlasco, da anni al centro di processi, riaperture e ricostruzioni, si presta perfettamente a questa dinamica. L’equilibrio tra diritto all’informazione e rispetto per le persone coinvolte è sempre più fragile, soprattutto quando le trasmissioni televisive puntano ad aumentare l’audience più che a informare in modo rigoroso.
In un contesto in cui l’opinione pubblica si forma spesso più sui dibattiti televisivi che sulle sentenze, il rischio è che la narrazione mediatica finisca per condizionare la percezione della verità. E mentre la Procura di Pavia continua a indagare, tra vecchie tracce di DNA e nuovi interrogativi, molti si chiedono se non sia giunto il momento di lasciare che la giustizia faccia il suo corso lontano dai riflettori.