
Nonostante la sconfitta elettorale incassata alle elezioni europee, una parte della sinistra italiana ha tentato di rivendicare una presunta affermazione al Referendum dell’8 e 9 giugno, presentando i risultati come un segnale politico in controtendenza rispetto all’avanzata del governo Meloni. Ma la lettura proposta da esponenti come Elly Schlein viene messa in discussione anche da voci critiche interne al campo progressista. Tra queste, quella di Michele Santoro, che a DiMartedì, il talk show politico condotto da Giovanni Floris su La7, ha demolito in diretta la narrazione del Partito Democratico.
Leggi anche: Applausi scroscianti a Giorgia Meloni, la reazione di Bersani a Dimartedì: “Mamma mia”
Leggi anche: “Ecco cosa farei agli irregolari!”. Mario Giordano fa esplodere lo studio di Bianca Berlinguer
I numeri non giustificano la rivendicazione
Secondo la segretaria del Partito Democratico, i numeri emersi dalla consultazione referendaria costituirebbero una conferma della vitalità dell’area progressista. Schlein ha parlato di “14 milioni di voti”, suggerendo che una parte consistente del Paese abbia sostenuto le proposte della sinistra. Ma, secondo Santoro, questa interpretazione è del tutto forzata e scollegata dalla realtà dei dati. “Ma che avete preso? 14 milioni di che?”, ha commentato il giornalista con tono ironico e pungente, sottolineando come sia improprio trasferire automaticamente un risultato referendario sul piano della legittimazione politica.
Il punto centrale della critica riguarda la natura stessa del voto, che per Santoro è stato “diverso” da un’elezione politica: molti cittadini non avrebbero compreso pienamente il contenuto dei quesiti referendari, e il significato attribuito oggi ai risultati rischia di essere strumentale e infondato.

Una battaglia politica senza strategia
Durante il suo intervento, Santoro ha puntato il dito anche contro il metodo con cui è stata condotta la campagna referendaria. “La verità è che questi politici che hanno proposto il referendum non hanno fatto niente”, ha dichiarato, accusando apertamente i leader della sinistra di assenza di iniziativa reale. Il solo ad aver mobilitato una rete sociale concreta, ha osservato, è stato Maurizio Landini con il sindacato, ma anche in quel caso l’azione si sarebbe limitata a un approccio da “sciopero sindacale”, piuttosto che a una mobilitazione popolare e capillare.
Per Santoro, si è persa un’occasione importante: “Questa era una grande battaglia politica e sociale che si doveva proporre al Paese”, ha detto con rammarico. Una mancanza di presenza nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, avrebbe impedito di trasformare il referendum in una vera occasione di confronto pubblico. Il risultato, secondo lui, è un fallimento organizzativo e comunicativo, che rende il tentativo di appropriarsi del risultato ancora più paradossale.
Il ruolo dei media e l’assenza di visione
Altro tema toccato da Santoro è quello del rapporto tra i partiti e i mezzi di comunicazione di massa. Per il giornalista, oggi l’unica forma di esistenza politica reale per molti leader della sinistra si riduce alla visibilità nei telegiornali. “Se non vanno in televisione, la loro azione politica non esiste”, ha affermato, evidenziando un vuoto di strategia e progettualità. L’iniziativa politica, secondo Santoro, dovrebbe avere radici profonde nella società, nella quotidianità delle persone, ma quella dei partiti progressisti si ferma troppo spesso alla rappresentazione mediatica.
Una critica severa, che va ben oltre la singola vicenda del referendum e che punta il dito contro una sinistra che, secondo lui, non riesce più a incidere nella realtà concreta del Paese.
Un campanello d’allarme per l’opposizione
Le parole di Santoro rappresentano un campanello d’allarme per chi, all’interno del fronte progressista, intende ancora giocare un ruolo centrale nella politica nazionale. La sconfitta alle urne non può essere compensata da narrative autoreferenziali, tanto meno se queste sono smentite dai numeri e dall’assenza di una mobilitazione autentica.
Il referendum, da potenziale strumento di cambiamento, si è trasformato — almeno secondo l’analisi del giornalista — in uno specchio delle contraddizioni di una parte dell’opposizione: proclami pubblici senza radicamento sociale, e una comunicazione che guarda più ai titoli dei tg che alle istanze dei cittadini.