
Verdetto frammentato nel secondo processo a carico di Harvey Weinstein, l’ex re di Hollywood già condannato nel 2020 e poi salvato da un vizio procedurale. Dopo cinque giorni di camera di consiglio, la giuria – composta da sette donne e cinque uomini – ha raggiunto un accordo solo parziale: colpevole per una delle accuse di aggressione sessuale, non colpevole per la seconda e nessuna decisione unanime sul capo di imputazione per stupro.
Il procedimento ruotava attorno alla denuncia di Jessica Mann, ex assistente del produttore, che ha dichiarato di essere stata violentata nel 2013 in una stanza d’hotel a Manhattan. Mann aveva raccontato anche di aver intrattenuto con Weinstein una relazione consensuale prima e dopo l’episodio di presunta violenza, un elemento che ha reso complesso il lavoro dei giurati.
La deposizione di Jessica Mann
Durante il processo, la giuria ha chiesto di riascoltare la deposizione della donna, rileggere le email scambiate con l’imputato e visionare alcune cartelle cliniche del 2017, relative al trauma provocatole dalla lettura di denunce simili da parte di altre donne. Nonostante questi approfondimenti, non è stato possibile raggiungere l’unanimità sulla più grave delle accuse.
Weinstein era stato condannato nel 2020 a 23 anni di carcere, ma quella sentenza è stata annullata dalla Corte d’Appello di New York per vizi nel procedimento, aprendo la strada a questo nuovo processo. Il verdetto contrastato di oggi rappresenta un momento delicato per il caso simbolo del movimento #MeToo, che nel 2017 ha dato il via a un’ondata globale di denunce contro molestie e abusi sessuali nei luoghi di potere.
A questo punto, resta da capire quale sarà la pena che Weinstein, già detenuto, dovrà eventualmente scontare per l’unica accusa per cui è stato dichiarato colpevole, e se il pubblico ministero deciderà di ripresentare il capo di imputazione per stupro su cui la giuria non si è espressa.