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Prima di TikTok c’era lui, il Cavaliere aveva già capito tutto: ecco perché è stato il primo influencer in Italia

Pubblicato: 12/06/2025 11:57
silvio berlusconi

Ben prima dei reel, dei like e delle dirette su Instagram, c’era un uomo che sapeva perfettamente come catturare l’attenzione degli italiani. Non con algoritmi, ma con il volto abbronzato, la battuta pronta, l’onnipresenza televisiva e una narrazione personale costruita al millimetro. Silvio Berlusconi non è stato solo un politico o un imprenditore: è stato, di fatto, il primo vero influencer italiano.

Silvio Berlusconi non ha inventato i social. Ma ha anticipato tutto ciò che li rende potenti: la narrazione personale, la gestione della propria immagine, la capacità di generare consenso non solo con le idee, ma con l’identificazione emotiva. È stato l’influencer originario, e in un certo senso, lo è ancora.

La fabbrica del consenso: prima della politica, la TV

Quando negli anni ’80 Berlusconi fonda il suo impero televisivo, la politica è ancora legata al grigiore delle sedi di partito, al linguaggio paludato, ai notiziari in bianco e nero. Lui, invece, capisce prima di tutti che il potere non si conquista solo con le idee, ma con l’immaginario. E crea una nuova Italia: sorridente, patinata, intrattenuta. Le sue TV, Fininvest prima e Mediaset poi, non vendono solo programmi: vendono un modo di essere.

È il primo a usare la televisione commerciale come veicolo di branding personale. I suoi telegiornali aprono con i servizi sulla cronaca leggera, i suoi varietà sono pieni di corpi e sogni, e ovunque aleggia una promessa: la felicità è possibile, il successo è alla portata, l’Italia può volare alto. È il teaser di una narrazione che diventerà presto politica.

Il brand “Berlusconi”: storytelling, empatia, semplificazione

Quando nel 1994 scende in campo, Berlusconi non fa una campagna elettorale. Fa una campagna di marketing. Il volto sempre in primo piano, lo slogan “Un’Italia nuova”, lo spot elettorale registrato come un messaggio personale a ogni elettore. Non parla come un politico, ma come un amico: niente dati, solo emozioni. Nessun tecnicismo, solo soluzioni “di buon senso”.

Usa la retorica del successo personale come leva politica. Si presenta come imprenditore vincente, “self-made man”, un italiano qualunque che ce l’ha fatta. E se ce l’ha fatta lui, allora ce la possono fare tutti. È esattamente la narrativa che oggi dominano gli influencer: autenticità costruita, vulnerabilità ostentata, vita privata come contenuto pubblico.

Come ogni influencer di successo, Berlusconi è sempre “sul pezzo”. Sa improvvisare, sa cadere e rialzarsi, sa creare scandalo e capitalizzarlo. Il suo corpo, la sua voce, i suoi gesti diventano linguaggio. Il cerone, il sorriso forzato, le barzellette, le gaffe: nulla è casuale, tutto è brand.

Il pubblico come community

Gli elettori di Berlusconi non erano solo “base politica”. Erano una community. Si riconoscevano in lui, ne condividevano stile, valori, illusioni. Il berlusconismo è stato un movimento pop, con tratti quasi religiosi: culto del leader, ripetizione dei messaggi, nemici esterni da combattere (toghe rosse, comunisti, Europa). In questo, è stato un precursore delle tribù digitali: polarizzate, fedeli, affamate di contenuti.

Tutto ciò che oggi ci sembra naturale nei social media – la centralità del volto, la semplificazione estrema, la personalizzazione del messaggio – era già nella grammatica berlusconiana. Quando su TikTok un creator balla mentre lancia uno slogan, non fa qualcosa di tanto diverso da Berlusconi che canta a Portofino o racconta una barzelletta in TV per distogliere l’attenzione da un processo.

Anche le sue cadute – giudiziarie, politiche, personali – sono diventate contenuto. Berlusconi è riuscito a trasformare ogni scandalo in uno spettacolo, ogni imputazione in un atto di eroismo. Ha fatto della persecuzione giudiziaria un format, del “politicamente scorretto” un linguaggio. Esattamente come fanno oggi gli influencer che monetizzano le critiche, che cavalcano l’hate per aumentare la visibilità.

Un’eredità (digitale) ancora viva

Anche dopo la sua morte, il “berlusconismo” sopravvive. Nella politica-spettacolo, nei leader che curano i propri profili social come fossero influencer (da Salvini a Meloni), nelle campagne elettorali fondate sullo storytelling personale. Il linguaggio di Berlusconi è diventato linguaggio comune.

Oggi chi fa comunicazione non può prescindere da ciò che Berlusconi ha insegnato: che il messaggio è il mezzo, che l’immagine vince sull’argomento, che la coerenza narrativa vale più della verità oggettiva. Nel bene e nel male, la politica italiana – e forse anche la cultura popolare – parla ancora la sua lingua.

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