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Usa, ritiro del personale dalle ambasciate in Iran: sale la tensione

Pubblicato: 12/06/2025 07:37
trump guerra

Lo stallo nei negoziati sul nucleare tra Stati Uniti e Iran inasprisce il clima di tensione in Medio Oriente, con Washington che ha deciso di evacuare il personale non essenziale dall’ambasciata a Baghdad e di autorizzare la partenza dei familiari dei militari dalle basi americane in Kuwait e Bahrein, per accresciuti «rischi di sicurezza». L’annuncio è arrivato dal Dipartimento di Stato, dopo una «revisione recente» di cui non sono stati forniti ulteriori dettagli. Tuttavia, molti osservatori leggono la mossa come un chiaro messaggio all’Iran, un avvertimento implicito che un’azione militare non è esclusa se Teheran dovesse spingersi oltre sul proprio programma atomico. Il pensiero di Trump è chiaro: “Israele sta per colpire”.

La situazione in Medio Oriente

Da mesi, Washington e Teheran sono impegnate in colloqui indiretti per evitare un’escalation, ma le posizioni restano inconciliabili: gli Stati Uniti esigono lo stop all’arricchimento dell’uranio, mentre l’Iran considera questa richiesta una “linea rossa invalicabile”. Intanto, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica valuta una mozione di censura nei confronti della Repubblica islamica. Secondo l’analista Michael Horowitz, l’evacuazione diplomatica è una manovra di pressione: «Un segnale che gli Stati Uniti sono pronti a colpire se non si arriva a un accordo». Una mossa che rischia di far precipitare la regione in una spirale di ritorsioni, dato che Israele spinge per uno strike sui siti nucleari iraniani, mentre Teheran ha già minacciato risposte contro le basi americane nella regione.

Israele divisa: lo scontro sul servizio militare degli haredi

In parallelo, Israele affronta una tempesta politica interna che potrebbe mettere a rischio la tenuta del governo Netanyahu. Al centro del conflitto c’è il tema del servizio militare obbligatorio per gli haredi, gli ebrei ultraortodossi, tradizionalmente esentati. La Corte Suprema ha stabilito che tale privilegio non può più essere sostenuto, ma i partiti religiosi alleati del premier – Shas e United Torah Judaism – minacciano di far cadere l’esecutivo se non verrà approvata una legge per garantire l’esenzione.

L’opposizione ha colto la crepa nella maggioranza e ha presentato una mozione per sciogliere la Knesset e indire nuove elezioni. Se Netanyahu troverà un compromesso entro questa settimana, l’opposizione non potrà ripresentare la mozione per sei mesi. In caso contrario, la crisi potrebbe riaprirsi nel giro di pochi giorni. Il nodo dell’arruolamento tocca il cuore dell’identità israeliana: in un paese che vive in stato di guerra permanente, il servizio militare è obbligatorio per uomini e donne. Ma gli haredi, oggi il 13% della popolazione, rifiutano l’arruolamento per motivi religiosi e chiedono di mantenere anche i sussidi statali.

Molti israeliani non condividono. Secondo i sondaggi, l’84% della popolazione vuole che anche gli ultraortodossi prestino servizio militare. Lo sottolinea anche il rabbino Yehoshua Pfeffer, che guida un’associazione che supporta i soldati haredi nell’IDF: «I rabbini temono che i giovani vengano esposti a idee secolari e che ciò trasformi la natura delle loro comunità, fondate sull’isolamento e la tradizione».

La spaccatura tra laica e religiosa rischia quindi di diventare una miccia politica tanto esplosiva quanto la crisi internazionale con l’Iran. E il governo Netanyahu, stretto tra pressioni esterne e fragilità interne, cammina su una linea sempre più sottile.

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