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Guerra o morte. Il bivio di Netanyahu, tra nemici esterni e condanna interna

Pubblicato: 13/06/2025 11:26

Benjamin Netanyahu ormai si trova, solo in parte per colpa sua, in un bivio personale e storico. Ogni tanto la storia di un Paese, di un’area del mondo, in questo caso della globalità, non lascia vie di uscita, nel suo personale caso, nel suo destino c’è solo la guerra, contro qualunque nemico di Israele, oppure la sua morte, non necessariamente politica. Quale è la exit strategy per Netanyahu? Ce lo siamo chiesti noi occidentali che invochiamo la pace ad ogni costo? È colpito da un mandato di arresto internazionale, se si dimette non può rimanere in patria perché verrebbe perseguito giudiziariamente, potrebbe rifugiarsi solo negli Stati Uniti, tra gli ebrei newyorchesi, ma non è detto che la fatwa che gli hanno messo addosso gli sciiti, ma non solo, non lo raggiunga anche lì, come fu per le torri gemelle.

L’attacco all’Iran come ultima carta

Attaccando l’Iran pensa di prendere due piccioni con una fava, difende Israele da una possibile minaccia nucleare, programma fondamentale della dottrina khomeinista, e svolge il lavoro sporco per l’Occidente, gli Usa sicuramente, ma anche per gli ignavi, ormai questo siamo, europei, struzzi con la testa sotto la sabbia, occupati a fare i Mandarini di un ex impero. Il mondo del dopoguerra aveva solo 4 potenze nucleari, Usa, UK, Francia e URSS. A queste si sono aggiunte Corea, India e Pakistan, paesi non proprio rassicuranti, oltre al gigante Cinese, che lo è leggermente in più per complessità e storia. È probabile che tra un po’ si possa aggiungere l’Arabia Saudita di Bin Salman che non sa più come spendere i soldi che dal dopoguerra gli manda l’Occidente. Ma che l’abbia una Persia, storicamente aggressiva, fondamentalista fino al martirio è globalmente troppo anche in un mondo multilaterale come l’attuale.

Realpolitik, paure ancestrali e destino personale

Netanyahu ha certamente molte colpe, in patria e fuori da essa, anche se gli israeliani ritengono che sia Gaza che la Cisgiordania. Ma anche Stalin era un feroce massacratore, ma l’Occidente si sedé con lui a Yalta, non lo fece condannare da un tribunale internazionale. Si chiama Realpolitik, ed esiste da millenni prima dell’Aja o del palazzo di vetro dell’ONU. In questo momento globale tutto sembra fratturato e diviso, in bilico, lo sono gli Usa, la Russia non lo sappiamo come l’Ucraina, Israele e tanti focolai dove basta un’oscillazione del pendolo per passare dalla tregua alla guerra più feroce. E questo avviene anche nelle nostre democrazie europee, in pace straordinaria da 80 anni, divise sul loro grado di benessere interno, senza governance stabili ma in preda ad alternanze divisive, populiste, ma sempre incapaci di proiettarsi su ruoli e destini che gli spetterebbero per responsabilità storica.

Il cattivo, perché lo è, Netanyahu sta lì per uno scopo che fino ad un certo punto è suo, come lo stesso Putin, anche se con maggior apporto. Ma ricordiamoci che il controverso Benjamin rappresenta le paure ancestrali di coloro che sono usciti dell’olocausto e il risentimento dei pogrom degli immigrati del dopo perestrojka. Tutte persone, i coloni in particolare, incattivite da secoli di persecuzioni, e la torah non difformemente dal corano segue il codice del taglione, più che del perdono. Il perdono, sola forza che può generare la pace, è una invenzione esclusivamente cristiana. La Storia, in certi crinali, sceglie uomini che crocifigge come cattivi a seconda dei momenti, delle opinioni, poi loro ci mettono del proprio.

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