
L’Operazione Rising Lion ha rappresentato uno dei colpi più duri inferti al cuore della struttura militare e scientifica iraniana. Dietro all’azione, che si è concretizzata in un mix di precisione tecnologica, infiltrazioni e pianificazione di lungo termine, si intravede l’ombra del Mossad israeliano. La strategia non si è limitata a colpire le infrastrutture del programma nucleare iraniano, ma ha assunto la forma di una vera e propria decapitazione della leadership, coinvolgendo figure di primo piano nella gerarchia politica e militare della Repubblica islamica.
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Droni-kamikaze e infiltrazioni: il piano nascosto
L’operazione si è distinta per l’impiego di droni-kamikaze, introdotti illegalmente nel Paese grazie a una rete segreta di avamposti interni. I velivoli sono stati contrabbandati, probabilmente in più fasi, e attivati da agenti sul campo che hanno analizzato il territorio, compiuto simulazioni e condotto test operativi prima dell’attacco definitivo. Uno degli obiettivi principali è stato il sito missilistico di Esfajabad, a poca distanza da Teheran.
La modalità di attacco ricorda le recenti azioni condotte dall’Ucraina contro le basi aeree russe, con la differenza che in questo caso l’obiettivo era la struttura di comando iraniana. Fonti riservate parlano di un’operazione resa possibile da complicità interne e dalla presenza, ormai consolidata, di una quinta colonna formata da cittadini locali.
Una leadership colpita nel cuore
Le vittime dell’attacco sono numerose e tra loro compaiono nomi di spicco. Il comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami, il capo di Stato Maggiore Mohammad Bagheri, e il suo vice Gholamali Rashid risultano tra i morti. Gravemente ferito anche Ali Shamkhani, consigliere di Ali Khamenei, che deteneva numerosi dossier strategici.
L’esercito israeliano, in una nota, ha aggiunto alla lista anche Amir Ali Hajizadeh, figura chiave nella divisione aerospaziale iraniana e considerato l’architetto dell’arsenale balistico. Hajizadeh, secondo le ricostruzioni, si trovava in una war room sotterranea insieme ai suoi collaboratori al momento dell’attacco.

La risposta degli ayatollah e le nuove nomine
L’impatto dell’Operazione Rising Lion non si è limitato all’eliminazione fisica dei bersagli: ha anche avuto l’obiettivo di destabilizzare il regime in un momento critico. La leadership iraniana ha reagito rapidamente, nominando Ahmad Vahidi alla guida delle Guardie Rivoluzionarie e Habibollah Sayyari come nuovo responsabile delle forze armate. Tuttavia, la rapidità delle nomine non è bastata a placare lo shock per la mancanza di misure di sicurezza che avrebbero potuto prevenire l’attacco, dato che l’allerta era già elevata.
Il quadro ricorda le operazioni israeliane contro Hezbollah a Beirut, dove interi comandi sono stati eliminati anche nei bunker sotterranei, con un’efficacia che dimostra un livello di penetrazione informativa estremamente sofisticato.
Tre punti chiave dell’operazione
L’attacco contro la leadership iraniana offre tre spunti di riflessione che evidenziano le fragilità del sistema di difesa:
- L’intelligence nemica conosceva le posizioni esatte delle vittime, nonostante l’elevato stato di allerta.
- L’operazione potrebbe avere l’obiettivo di innescare una reazione interna, con conseguenze politiche e psicologiche a lungo termine.
- L’eliminazione di figure chiave dimostra una debolezza sistemica nei dispositivi di sicurezza iraniani, già messa in luce dalla morte del leader palestinese Ismail Haniyeh a Teheran nel 2024, in un edificio controllato dai pasdaran.

Il secondo fronte: gli scienziati del programma nucleare
Un altro elemento centrale dell’operazione è stato il targeting del mondo scientifico legato allo sviluppo nucleare. Almeno sette scienziati risultano uccisi. Tra i nomi circolati vi sono Fereydon Abbasi-Davari, già sopravvissuto a un attentato nel 2010, morto insieme alla sua famiglia, e Mohammad Tehranchi, noto per i suoi studi su testate belliche. Gli altri – Abdulhamid Minouchehr, Ahmadreza Zolfaghari – erano professori universitari, figure fondamentali per la ricerca strategica iraniana.
Questi nomi si aggiungono a una lunga lista di specialisti colpiti negli anni da operazioni mirate, in un contesto che risale al 2001 con l’assassinio del primo esperto missilistico iraniano. Le modalità degli attacchi sono variate: da pistole silenziate a ordigni magnetici, fino all’omicidio di Mohsen Fakrizadeh nel 2020, eliminato con una mitragliatrice azionata da remoto. Ogni missione è la prova dell’esistenza di una rete estesa e difficile da debellare.
Operazione Rising Lion si distingue non solo per la sua brutalità chirurgica, ma anche per l’effetto strategico: mettere in ginocchio il programma nucleare iraniano, decapitare la catena di comando militare e lanciare un messaggio chiaro su chi oggi detiene la superiorità nell’intelligence operativa nella regione mediorientale. Un’azione destinata a lasciare un’impronta duratura nel già fragile equilibrio geopolitico della zona.