
Ci sono vicende che, nonostante il tempo, restano sospese nel silenzio e nella rabbia di chi attende ancora giustizia. Storie che sembrano svanite negli archivi della memoria collettiva, ma che riaffiorano quando il dolore di una famiglia decide di non arrendersi. Una ferita che continua a sanguinare, dopo decenni, con la speranza che la verità possa finalmente emergere.
In un contesto dove il passato si mescola a scenari irrisolti, la riapertura di un caso rimasto nell’ombra per trent’anni diventa non solo una necessità legale, ma anche un atto di dignità. Dietro a numeri e fascicoli ci sono volti, storie spezzate, famiglie che chiedono risposte.
Il mistero del cosiddetto “Mostro di Modena”
Tra il 1985 e il 1995, otto donne furono uccise con modalità simili nel territorio modenese. Nonostante le indagini siano state riaperte più volte, l’identità dell’assassino è rimasta sconosciuta. Oggi, dopo anni di silenzio, i familiari di una delle vittime – Anna Maria Palermo, trovata morta il 26 gennaio 1994 a 20 anni – hanno chiesto che il caso venga nuovamente riesaminato.
«Con la moderna scienza oggi è possibile analizzare i reperti elencati in ben tre pagine di verbale», ha dichiarato Barbara Iannuccelli, legale della famiglia. Lividi sugli avambracci, ferite da taglio al petto, due siringhe con sangue diverso da quello della vittima, e un fazzoletto con tracce di rossetto incompatibili con quello nella borsa di Anna Maria: per la legale ci sarebbero elementi sufficienti per sospettare che più di una persona sia coinvolta.
Una scia di sangue lunga un decennio
Tra le altre vittime riconducibili allo stesso schema figurano Giovanna Marchetti (uccisa con pietre nel 1985), Donatella Guerra (trafitta al cuore nel 1987), Marina Balboni, Claudia Santachiara, Fabiana Zuccarini, Anna Abbruzzese, Monica Abate. Tutte, come Anna Maria, sono state assassinate in luoghi isolati, spesso strangolate e abbandonate in fossi o abitazioni.
A queste, si aggiungono Filomena Gnasso e Antonietta Sottosanti, entrambe uccise in circostanze violente nel 1983 e nel 1990. Le vittime erano per lo più donne emarginate, coinvolte in contesti di prostituzione o tossicodipendenza.
Nel 2019, un documentario ha riportato attenzione sul caso, ma anche allora le indagini sono state archiviate. Oggi, la speranza è che la scienza forense possa finalmente restituire un nome al volto dell’orrore.